Un particolare ringraziamento al maestro De Paoli "Battistino" per questo interessante e particolare documento.
BOLLETTINO LEYNICESE (LEYNI’ 14 novembre 1915) Un Grande di Leynì
ANDREA PROVANA
Il feudalesimo, scaturito dalle usanze dei popoli germanici, costituitosi in Francia sotto la dinastia merovingia, favorito e diffuso da Carlo Magno come mezzo di governo, raggiunto il massimo suo sviluppo con lo smembramento dell’impero Franco divenne nel Medioevo vera forma di stato sociale e solo andò spegnendosi durante le Crociate e l’emancipazione dei Comuni.
Così, in questo periodo storico, il nostro Leynì, trovasi esso pure soggetto ad un Signore detto feudatario, il cui turrito castello esiste ancora in parte.
Spettatore muto e severe delle gesta dei vari dominatori di Leynì, testimone segreto delle tirannidi di più d’uno di essi, ancora dice ai posteri quale fosse la propria severa imponenza, la maestà sua quasi assoluta. Se interrogar potessimo la vetusta torre che, disfida dei secoli, si conserva a perenne ricordo di antica grandezza, le ultime vestigia che ancor restano dell’antico castello (1) – quali le sedi dell’attuale municipio e delle scuole – quali segreti sveleremmo e di quante, forse tristissime istorie, saremmo conoscitori!...
La più cospiqua e distinta delle famiglie signoreggianti Leynì fu quella dei Provana, antichissima fra le nobili case piemontesi, la quale, fin dal 1300 contava più di quindici capi di casa, tutti onoratissimi e con il titolo di Signore.
Di questi vari rami, quello di Giacomo Provana che ottenne con Francesco della stessa famiglia, il feudo di Leynì da Giovanni Paleologo, marchese del Monferrato, il 19 gennaio 1327 (secondo altri <<Paviolo, cenni storici>>, nel 1308) è il solo che desti vivo il nostro interesse.
A lungo il Comune nostro si piegò ai voleri di tali signori, molti furono i Provana che percorserp le nostre campagne, ossequiati dal popolo riverente e tremante, ma quello tra di essi che a noi maggiormente importa perché più degli altri splendente di gloria fu Andrea Provana, i cui natali avvennero nel castello di Leynì, nel 1511, figlio di Giacomo III Signore di Leynì, gran castellano di Ciriè e di Rivoli, ciambellano e gran mastro di Emanuele Filiberto duca di Savoia e principe di Piemonte e di Anna Grimaldi di Boglio.
D’ingegno pronto e perspicace, quale si mostrò fin dai primi anni, il Provana fu dotato di quello spirito d’intraprendenza proprio degli uomini grandi degli uomini grandi chiamati a compiere azioni meravigliose e venne educato col sistema che addicevasi alla nobiltà del proprio casato.
In quei tempi infieriva la lotta tra Francesco I e Carlo V, lotta grave per il predominio contrastato tra Francia e Spagna, ed il giovanetto Andrea fu spettatore della terza di queste guerre che travagliavano a lungo il Piemonte e la Savoia, terminata prima con la tregua di Nizza (1538) e poi con la pace di Crespy (1544) e sentendo scorrere nelle proprie vene il sangue del guerriero prode ed intrepido, scelse la carriera militare, dedicandosi specialmente al ramo navale, come spingevalo il proprio carattere forte e desideroso di grandi imprese.
Amato dal proprio principe Emanuele Filiberto che già scorgeva nell’imberbe milite, il futuro uomo di stato, sotto la guida del padre, fu con lui al servizio di Carlo V e l’accompagnò in tutte le sue spedizioni.
Lo troviamo così ad Ingolstadia, a Norlinga in lotta coi protestanti, a Mulperga ove il Duca sabaudo venne sconfitto rd in seguito con Emanuele Filiberto divenuto governatore di Fiandra e capitano generale della legione Cesareo-Palatina, all’assedio di Edino ed all’impresa di Bapaume in Artesia.
Ovunque il giovane Andrea si distinse dando prova di lodevole zelo e di generoso ardimento, specialmente a Bapaume dovbe fu il solo capitano che osò entrare nell’assediata città, rimanendo sordo ai pietosi consigli di Andrea Doria il quale l’aveva informato che i Francesi l’avrebbero ucciso se fosse caduto nelle loro mani.
Le sue virtù militari, l’intelletto suo non comune, lo resero sì caro al Duca che lo fece segno alla più alta considerazionee, dopo la presa di Vercelli, l’incaricò di un mandato politico di massima importanza.
Egli doveva recarsi in Piemonte e ravvivare sempre più la fedeltà salda verso i Principi Sabaudi incitando gli animi oppressi dalle lunghe lotte, a sperare in un prossimo migliore avvenire. E seppe sì bene sbrigare il severo mandato che il Duca, richiamatolo presso di sé, lo elesse ad amico e confidente, a lui solo aprendo intero il proprio cuore, consigliandosi negli affari più ardui, richiedendone il parere in ogni difficile impresa. Il Provana divenne, per così dire l’anima gemella di Emanuele Filiberto, il solo che avesse influenza sull’animo suo, il depositario d’ogni segreto, il possessore d’ambo le chiavi del cuor di Federico.
Nel1556, in seguito alla congiura dei Turchi coi Francesi per il possesso di Villafranca sul Mare, egli fu dal Duca incaricato della difesa di quella città, i n cui, in seguito, si fermò fino al 1559 facendo costruire una fortezza, tuttora esistente, per la difesa della città stessa.
In seguitoalla pace di Cateau-Cambrèsisconchiusa il 13 aprile 1559, Emanuele Filiberto ricuperò gli stati aviti,eccetto le terre del lago di Ginevra ribellatesi nel 1536 e le fortezze ancora presidiate dai Francesi e dagli Spagnuoli, così potè tornare il 9 novembre all’amata Nizza,atteso, nel vicino porto di Villafranca, dal fedele Conte di Leyni, già eletto comandante delle galee degli stati sabaudi.
Le preoccupazioni di stato non distoglievano però, il Provana dal godimento delle pure gioie domestiche e davano campo al suo cuore generoso, di nutrire forte affetto per una vaga signora le cui virtù tanto gli riuscivano gradite. Cosicchè, sul principio del 1560 egli faceva sua Caterina Spinola, vedova di Carlo Monbello, conte di Frossasco, governatore del Castello di Nizza, imparentandosi così con una ricca famiglia genovese.
I servizi prestati dal Leynì (2) e dal padre suo Giacomo Provana a Emanuele Filiberto, decisero il Duca a compensarli concedendo allo sposo novello della Spinola l’investitura dei feudi di Frossasco e di Alpignano, già appartenenti al defunto Conte di Frossasco.
Or essendo questi territori contrastati dal Conte d’Entremont ne nacque una lunga lite per cui il Leynì doveva pagare 10.000 scudi al suo rivale che, dal canto suo, obbligavasi a cedergli i diritti sulle terre. La contesa si protrasse, così, sino al 1576, cioè fino alla morte dell’Entremont.
In questo frattempo, e precisamente il 1° gennaio 1560, Emanuele Filiberto noinò Andrea Provana capitano delle galee, alta carica rimasta scoperta sin dal 1468, investendolo contemporaneamentedel feudo di Beinette, vacante per la morte di Grato Provana, privo di prole maschia.
In tal modo l’importanza del Leynì aumentava ed il dominio suo estendevasi sempre più.
Il 7 gennaio 1560 il Duca salpò con la propria squadra composta dalle Galee Capitania (nave ammiraglia) e Margherita guidate dal Provana e dal capitano Giovanni Moretto (vecchio lupo di mare, venuto a Nizza ad offrire i suoi servizi al Leynì, dopo essere fuggito, quale ammiraglio dell’armata francese, da Civitavecchia con la galea che comandava, ove trovavasi con la flotta del barone De la Garde) alla volta di Marsiglia ad incontrare la sposa Margherita, sorella di Enrico II re di Francia.
Il Provana, sempre compagno al Duca, il 1° giugno trovandosi a diporto con lui e con altri personaggi della corte su d’una barca, poco mancò che cadesse nelle mani del corsaro Ouloudj-Ali (Luca Galeni) il quale 20 giorni prima, aveva, presso l’isola di Gerbi, pressochè distrutta la flotta spagnuola.
Emanuele Filiberto, dopo asver perduto più di 60 soldati riparò a Villafranca ed il Leynì, salito in fretta sulla galea, riuscì a fuggire. Quell’incidente indusse il Duca a sviluppare maggiormente la propria marina, di cui il Provana fu capo autorevolissimo.
La flotta ducale nel 1560 era così composta da quattro galee: la Capitana (nave ammiraglia), la Margherita, comandata dal provana e di proprietà del Duca, la Moretta, appartenente al Moretto e la Piemontesa di Girolamo Spinola, figlio di un ricco banchiere genovese. Come già fu detto, il primo comandante era il conte di Leynì, con l’annuo stipendio di 1800 scudi, compresi gli emolumenti quale comandante dei forti di S. Elmo e Montalbano; venivano poi, il Moretto con 300 scudi e lo Spinola con 200. Oltre a ciò ad Andrea Provana spettava la quarta parte del bottino di guerra, con obbligo, però, di venderla ad Emanuele Filiberto, se essa consisteva in schiavi turchi, ricevendo in compenso 20 scudi d’oro per ogni individuo.
Si comprende di legere come l’incarico del miglioramento navale venisse dato al Provana il quale seppe condurre ogni cosa con tanta sagacia che, nel 1570, le galee piemontesi godevano sì dì alto nome da far dire, dall’ambasciatore veneto Giovanni Francesco Morosini, spettatore delle loro manovre sul mare di Nizza che: <<Le galee del Signor Duca si possono nominar tra le migliori di Ponente, perché io le ho vedute vogar con quelle della Signoria di Genova e con quelle del Signor Gioanni Andrea Doria che sono riputate eccellentissime, e non solo sono andate del pari, ma piuttosto hanno avanzato di qual cosa in poco spazio, talchè in molto si può credere che haveriano anco fatto di più>>.
Andrea Provana ebbe poi dal Duca altre importantissime incombenze, dimostranti tutte l’alta considerazione in cui era tenuto.
Fu in Francia ad offrire, durante le guerre civili di quello stato, i servigi del Piemonte al Re Francesco II ed alla Regina Madre Caterina de’ Medici, e tornato, partì con la Margherita e con Il Sole (galea ducale) per una lunga crociera (4 ottobre 1560), indi recossi a Napoli (il 7 ottobre), a Palermo (il 12), a Messina (il 13) e facendo rotta al mar Ionio, passò Gallipoli assalendo, con il Moretto, nelle acque di Cefalonia, le navi venete Mazzona ed Avonala, ritenute turche e facendo man bassa di tutto il carico.
(1) I resti di detto castello furono dichiarati monumento pregevole d’arte e di storia. (2) Alla corte di Emanuele Filiberto, Andrea Provana veniva confidenzialmente chiamato il Leynì.
BOLLETTINO LEYNICESE
LEYNI’ 12 dicembre 1915
Protestò la Serenissima per tale fatto e scrisse al Provveditor dell’armata:
“Havemo inteso, con molto dispiacere nostro, le insolentie et danni fatti ultimamente dalle doi galee dell’Ili.mo S.or Duca di Savoia, Capitan Andrea Leni, conte di Fruzzasco alla nave Mazzona, sopra la quale vi era il consule nostro che ritornava d’Alessandria et ad altre Navi et navilij nostri, come vederete più particolarmente dalla copia della deposition di esso consule, che qui inclusa vi mandiamo, il che essendo successo contra la dignità dello stato nostro, et con danno dei nostri sudditi, et volendo in ogni modo che le sia quanto prima proveduto per non lassar che siano continuate tali operazioni senza il debito castigo, vi commettemo co ‘l Senato, che, unito quel maggior numero di galee che potrete e giudicherete a proposito per un effetto tale, debbiate trasferirvi nelle acque di Zante et Ceffalonia et in quelli altri luoghi, non passando Cerigo, et dove intendeste che le fussero, et attrovandole le trattereste da Corsari, secondo la continentia della commission vostra, ponendo in ciò ogni sollecitudine et diligentia quest’ordine nostro…….
1560, 16 novembre, Venezia.
Fu svelto il Leynì a riparare, dopo cotesto incidente, a Messina ed a Napoli e venduta quivi la preda fatta, fuggi a Villafranca.
Emanuele Filiberto, a sua volta, deliberò pure un’inchiesta, ma ebbe non pochi fastidi ritenendo, la repubblica Veneta, falsa la deposizione del Provana.
Ecco infatti una lettera della Serenissima al proprio ambasciatore presso il Duca di Savoia:
“1561, 22 aprile, Venezia.
All’ Am.or in Savoglia,
Fu a noi terzo giorno il R.do Amb.or di quel S.or Duca, et ne mostrò una scrittura de Mons.or de Lenì cap.o delle due galee di Sua Ecc.a in escusatione delli insulti fatti a nostri navillij sino nelli nostri porti, la quale essendo della natura che sono le scritture di quelli che si sforzano…(illeggibile)…a coprir li eccessi da loro commessi, le dicessemo che bisognava incontrarle con le scritture che havevamo noi, le quale contengono la verità del fatto, perciochè sono le persone p.li…( illeggibile)…et ministri nostri, et così li facessimo dar la relatione del consule nostro Quirini al tornar d’Aless.a con la nave Massona, et processo formato al Zanthe delli danni fatti alla nave Avonala. Questa mattina poi è ritornatoalla presentia nostra esso R.do Amb.or et ci ha detto che ha posto fine alla cosa delle cassie con li Hebrei patroni di esse talmente che non ne leveranno più alcun richiamo, ma che della nave Avonala essendo li avisi che noi habbiamo di quel fatto diversi in tutto di quelli che mons.r di Leni ha dati a Sua Ecc.tia non li pareva poter fare cosa alcuna sensa nuovo ordine del s.or Duca, che però li daria aviso particolar di quanto havea havuto de qui et ne aspettarebbe ordine; (del che habbiamo voluto darvi aviso onde habbiamo voluto cometervi col secreto) al che Noi respondessemo che non era meraviglia, che li avisi de mons. de Leni fossero differenti dalli nostri, perciò che volendo escusare lj era bisogno tacer la verità et coprir l’inconveniente et errori da lui commessi, et che volevemo esser certi che S.or Duca faria refar verso questi poveri interessati della nave Avonala, et che secondo la sua promessa faria dar castigo alli delinquenti, acciò che fossero esempio ad altri da astenersi da simili mesfatti. Di tutto questo ragionamento habbiamo voluto darvi aviso, commettendovi che reviste le scritture che già vi mandassemo in tal materia per poter parlar con fondamento debbiate attrovarvi con l’Ecc.tia sua, et aggravando li mali portamenti di quelli soi cap.ni nella forma che già vi commettessimo per altre nostre, et altre nostre, et rebadendo le escusationi, che loro adducono o vi fossero addutte dal s.or Duca a favor loro. Et se vi dicesse della fede che hanno essi cap.i dal scrivano della nave Avonala de esserli pagate le robe, direte che è, fede fatta far per forza, secondo che consta per le scritture venute da Zante che…..vi manderessimo. Et però la sollecitarete a far commissione al suo Rev.do Amb.re che faccia reintegrar quelli altri poveri interessati della nave Avonada, facendo poi sua Ecc.tia quella dimostration di risentimenti contra li capitani colpevoli che ella porta alla s.ria nostra.
In seguito le cose s’acquetarono ed Andrea Provana, lasciate per qualche tempo le galee, riprese la direzione delle fortezze di Villafranca, s:Elmo e Montalbano (primavera 1561).
In quel medesimo anno morì Luca Provana di Leynì ed Emanuele Filiberto, scordando il triste incidente, con Venezia, concesse al molto mag.co fedele cons.ro et camb.ro…carissimo capp.no generale delle nostre galee M. Andrea Provana S.re di Leiny appartenente al defunto. Però il Provana aveva già, alcuni mesi prima, eletto cappellano e rettore della B. Vergine di Leynì Pietro Caroccio.
Il Leynì riprendeva intanto le proprie navigazioni, trasportando a Barcellona (1562) il conte di Arigliano G.F. Costa, ministro del Duca, incaricato d’una missione presso il re di Spagna, salpando indi da Napoli (1563) ed in seguito con l’armata spagnuola per la liberazione di Orano assediata dai Mori.
Liberata la città, percorse il Mediterraneo, unitamente a Gian Vincenzo Gonzaga di Barletta e a Galeazzo Giustiniani ammiraglio di Genova, per cacciare i Corsariche l’infestavano. Sostò a Ceuta e a Cartagena, dopo un’infruttuosa crociera, si separò dai compagni.
Verso la metà di giugno del 1564, riordinata la flotta, parte per Malaga, dev’era concentrata la armata cristiana pronta a marciare contro il Peñon,scoglio altissimo sulle coste della Barberia.
Nel novembre di quell’anno, lo ritroviamo a Villafranca incrociante su quel mare onde impedire l’approdo dei dei piroscafi provenienti da Marsiglia, dove infieriva la peste.
Ed eccoci al 1565, anno famoso nella vita del signor conte di Leynì.
Era tanto il suo amore per il mare e perla marina sabauda che, per meglio provvedervi, si decise a vendere, il 18 maggio 1565, il feudo di Viù allo zio, Nicolò Provana, ritirando 1500 scudi, senza pagamento di laudemio, con termine di riscatto indiririzzando al Duca una supplica per ottenere l’autorizzazione d’alienarte il feudo (1).
Tale feudo proveniva alla famiglia dei Provana per acquisto fattone da Giacomo Provana di Carignano, unitamente ai diritti nelle valli di Lemie e Usseglio avuti dai figli di Antonio Justi con atto 25 gennaio 1350 per 5000 fiorini d’oro di buon peso (L.it. 105.021,50 circa). Oltre al feudo di Viù i Provana di Leynì godevano i diritti feudali anche su Ala unitamente al marchese di Lanzo; diritti che Andrea Provana cedette nel 1578 a Bernardo Castagno.
La vendita del feudo di Viù da parte di Andrea Provana divenne definitiva avendo egli rinunciato al diritto di riscatto e ne fu signore assoluto il 9 novembre 1581, Francesco Provana figlio di Nicolò e cugino di Andrea (2).
Scrisse Maria Savj Lopez: << Mai vendita fu più giusta pel suo nobile scopo ed ora che i posteri sanno per caso il sacrificio ch’egli fece colta e parmi che in Viù, ove pur tanta gente colta e gentile si riunisce nei mesi caldi dell’estate, una lapide devrebbe ricordare il nome dell’illustre feudatario, e l’atto da lui compiuto, che unisce al suo nome glorioso il nome di Viù, e merita di essere da tutti conosciuto perché non mai si fece altra vendita per un motivo più di questo generoso e grande>>.
Nel 1565 Solimano II, il più battagliero dei sultani turchi, per vendicarsi degli scacchi inflittigli dagli Spagnoli e dai Cavalieri di Malta, armò a Costantinopoli una potentissima flotta al comando di Piali Pascià.
Spaventati per tale fatto, i cristiani si prepararono ad affrontare il temuto e forte nemico, sgomenti assai per l’aiuto prestato al Musulmano dalle flotte corsare di Dragut e di Ouloudj-Ali.
In tale frangente Filippo II re di Spagna, dietro suggerimento di D. Garϛia di Toledo vicerè di Sicilia, invitò le flotte di Genova, del Piemonte e di Firenze ad unirsi alla sua onde abbattere la feroce Mezzaluna.
Emanuele Filiberto rispose all’invito inviando tre sue galere la “Capitana”, la “Margherita” e la “Moretta” al comando di andrea Provana a raggiungere le forze di Garϛia, a Messina.
Il Leynì ordinata ogni cosa con il solito acume, ai primi di giugno salpò e, appena uscito dalle acque di Nizza, incontrò 6 galere corsare.
Da buon condottiere egli con sicure manovre, trasse in salvo le proprie navi, sfuggendo all’inseguimento dei predoni che avrebbero voluto assalirlo.
Navigando alacremente giunse all’isola d’Elba nel cuore della notte e scorse 10 o 12 galere che a gonfie vele gli muovevano incontro.
Scutò nel fitto delle tenebre onde rintracciare qualche segno di riconoscimento e, dubitando essere quelle navi corsare, cercò di sfuggirle.
Infatti l’inseguimento divenne sempre più palese; s’incominciò un cannonneggiamento da ambo le parti, ma il Leynì vista la propria debolezza di fronte all’avversario, e non avendo la minima speranza di soccorso, tentò di porre in salvo almeno “La Capitania” abbandonando le altre galee alla ventura.
L’ambasciat:ore inglese in Ispagna commentando il fatto riteneva che:<
(1) La supplica fatta al Duca per ottenere L’autorizzazione dell’alienazione del feudo era del seguente tenore:
Ser.mo Principe
Il Signore di Leinì per non ricorrere a necessitata alcuna nel tempo che trovarà in viaggio con le galere di V. A. ha cercato di provvedereper qualche modo di denari contanti per portar secco (viaggio per la liberazione di Malta). Fra quali modi si è incontratto questo di far vendita d’un suo luoco posto alla montagna chiamato Viùal S.r Nicolò Provana suo zio, per la somma di mille e cinquecento scudi, con termine di riscatto, la qual venditione si fa non per che debba restar valida e ferma, ma solamenti per che il contratto non resti illicito, per che attesa la causa qui espressa et movente di Leinì che è per aver questa provvisione di denari in uso del servizio di V. A. e non altramente a quella ricorre.
Supplica humilmente che gli piaccia prestar il suo assenso a tal venditione et dichiarare che per essa non si habbia a pagare laudemio alcuno (tassa spettante alla Camera ducale) nel conto della vendita, né per conto della retrovendita quando V. A. obtener spera, la quali N. S. conservi felicissima.
9 maggio 1565
Alla quale rispose il Duca:
Emanuele Filiberto per grazia di Dio Duca di Savoia Principe di Piemonte.
Ad ognuno facciamo manifesto, che noi veduta l’alligata supplicazione et di quella ben consideranto il tenore.
Riconoscendo molto bene che la vhe per detta vendita di quale la ditta supplicazione fa mentione è per nostro servizio espresso, havendola ratta et piacendone ch’ella si faccia, habbiamo di nostra certa scienza dichiarato e dichiariamo la mente nostra di essere che per detta vendita né retrovendita, quando la si farà, sia occorso, né debba pagar alcun laudemio il supl. anzi intendiamo che né per detta vendita, né al tempo della retrovendita quando sarà fatta, li sia dato fastidio né molestia dal molto Magnanimo Cons.r Presidente e Auditori di nostra camera dei conti, per conto del Laudemio, ma la debbano lasciare in pace come se detta vendita et retrovendita che si farà non si fosse fatta giammai, et osservargli la presente nostra dichiarazione che così gli ordiniamo espressamente fi fare. Regole, Statuti, Ordini, etc. qualunque altra cosa a queste esranea, non ostante alle qualiin questa parte deroghiamo. Tale è la nostra mente, data in Torino alli nove di maggio M D sessanta cinque.
Emanuel Filiberto Firma autografa di Emanuele Filiberto tratta da una corrispondenza tra il Duca ed il Leynì nel 1565 (Archivio di Stato di Torino )
(2) Il feudo di Viù fu (3) conservato alla famiglia Provana per lunghi anni, tanto è vero che il 18 maggio 1713 tra la Comunità di Viù ed il Conte Carlo Emanuele Provana (il 1° conte di Viù fu Ottavio Provana – 6 maggio 1634) venne concluso: “ il Conte cede il dominio diretto delli laudemij, caducità successioni consistenti nel dirittodi un sesto nelle compere e rifatte ed una gallinaper parte nelle permute, del diritto di ducatoni 50, di 50 sacchi di biada et consignamenti et inoltre li molini et altri redditi e la Comunità si obbliga in corrispettivo di pagare annualmente al Conte la somma di L. 1400” (Archivio di Viù).
BOLLETTINO LEYNICESE LEYNI’ 08 gennaio 1916
Fortunatamente le galee ritenute corsare erano invece navi di Andrea Doria che, come quelle del Provana, veleggiavano per rinforzar l’armata del Garϛia, il quale attendeva impaziente le navi di Genova, Savoia e Firenze e di Spagna per iniziare le operazioni in aiuto di Malta asseddiata da 50.000 giannizzeri e da 3000 cavalieri.
Giunto a Napoli, il Leynì attese che il Garϛia mandasse una squadra ad incontrarlo non ritenendosi sicuro, anche insieme al Doria, di percorrere, senza altri tristi incidenti, il tragitto Napoli - Messina.
Mentre attendeva a Napoli i desiderati aiuti, Scriveva a Emanuele Filiberto:
“ Ser.mo s.r mio s.re et patron oss.mo,
Io mi pensavo haver mandatto con le ultime antecedenti mie che furono delli 16 la coppia di una lettera del cavalier Salvago, uscito di Malta alli 4 di questo (giugno 1565) né so come me la scordassi, che hora la mando, per la quale v. Alt. Potrà vedere in che termine stessero le cose sino a quel giorno.
He dappoi gionto qua uno rinnegatto di quelli amici di ms Giov. Maria, il quale he pure uscito da Malta al medesimo tempo, et venutto sopra la istessa fregatta che portò il Solvago sino a Messina, però per essere statto nel campo coi turchi, et continuamente fra loro, rifferisse molte particolarità di più tra bone e male. Le bone sono che doppo che l’armata partì da Costantinopoli già mancano tre milia turchi delli miglioiri, morti in q.o assalto et parte malattia, et che li spacchi (spahi) che sono li più soldati che habbino per esser accostumati a cavallo, patiscono molto adesso a piedi et con questi caldi. Le male sono che hanno rittrovatto nella isola di Malta una gran quantità di bestiame, con la cui carne si sono ristoratti molto, et senza la quale l’avrebbero fatto male. Et in più hanno ritrovatto molti cavalli et asini, con i quali giorno et notte portano acqua dalla Marza al campo che li giova assai. Et oltra a questo riferisse che in Malta vi sono molto puochi soldatti, tutte cose che danno ad intendere che quel gran mastro non aspettassere mai l’armatta sopra quell’isola, al manco cossì presto, che certo l’hanno colto alla sprovvista. Con tutto questo non lasciano di far il debbito, et spero si terranno tanto che daranno tempo alla nostra armata di potersi giontare et darli soccorso, come pare che sia rissoluto di fare il S.r don Garzia, massime adesso che la sua m.ta ha ordinato li siano datti tutti li spagnoli vecchi, et tutte le altre cose che ha adimandatto, a tal che con honor suo non può mancare.
Piacia a nostro s.r dar forze a quelli di Malta di poterne aspettare et guidar noi per il detto camino dil suo santo ser,o: acìo che possiamo dar questo soccorso tanto giusto et pio et non lasciare q.o opprobbio a tutta christianitade. Doppo detto aviso non si he inteso altro di Malta che sono16 giorni, il che fa dubittar che Santo Elmo non sia perso et la bocca chiusa. Di quello intenderà et farà di più non mancarò con ogni comoditate darne aviso a v. A. alla qual. humilmente basio la mano.
Da Napoli alli 2… di giugno 1565
di v. A. Humil vassallo et fideliss.o ser.re “
Firma autografa di Andrea Provana (Archivio di Stato di Torino
La traversata di tutte le navi alleate ebbe termine sulla fine di giugno con soddisfazione del Garϛia che ricevette il Leynì con speciali riguardi.
Senza perder tempo il Provana, lasciata Messina il 7 luglio con la “Capitana” quale comandante della squadra composta di galee dei Cavalieri di Malta e di D.Giovanni di Sanoguera, partì alla volta di Malta, e giunto il 9 luglio a poche miglia dalla meta, sbarcovvi il 10 i soldati pontifici rientrando a Messina il 16.
“l Conte di Leynì (sempre attivissimo ed instancabile) intanto, il quale con le quattro Galere che dette habbiamo (la Capitana e un’altra savoiarda , una di Stefano di Mari ed una di Giorgio Grimaldi) andava navigando innanzi per antiguardia, tosto che fu giunto sopra Capo Passero, nella mattinata di Domenica 27 agosto 1565, s’incontrò in una grossa nave quatto mila salme la quale non volle altrimenti smaniare, né dergli ubidienza, anzi si pose incontamente in ordine per combattere e per difendersi”.
La nave fu poi catturata e condotta a Siracusa.
Il fatto è confermato dal D. Garϛia il quale scrisse:
<<….. al amanecer me halle sobre Cabo Pàsàro, desde donde se descubrioò doce milias a la màs una nave, y ansi a cabo de media hora descubrimosque cerca de dicha nave estaban cuattro caleras, las cuales fueron las Mus.r de Legnì, y Mari y Grimaldo que yo habra enviado a los 24 del mismo desde Zaragozza (Siracusa) para que fiesen la vuelta del dicho Cabo aà procurar que los enemigo non pudiesen tomar lengua desta armada, y ansì llegaron à ella y la combatieron y tomaron. Era arragusea (di Ragusa) eviada por los Turcos à los Gehes (Gerbi). Venia con cinco mil quintales de bizcocho y setenta turcos, que todos les harà falta.>>
Stretto sempre più da vicino, dalle forze cristiane cadde il forte S.Elmo, e si liberò Malta con una vittoria festeggiatasi pure a Torino con grande gioia…<<Quam ob victoriam Taurini immensae laetitiae…>> e ringraziandone il cielo con una solenne processione.
Andrea Provana, insieme ad Alvaro di Bazan e ad Andrea Doria, lasciava quelle acque e giungeva, il 20 settembre, nonostante il brutto tempo, a Napoli dove, sbarcate le fanterie spagnuole, salpava per Villafranca. Poco dopo, dovendo condurre in Ispagna Francesco della Rovere principe di Urbino, ripartì per quello stato compiendo così, con tale viaggio, la campagna navale del 1565, invero per lui assai movimentata e atta a farne rifulgere vieppiù le qualità marinare, meritandogli un notevole posto fra i migliori comandanti navali dell’epoca.
Solimano II furente per la sconfitta toccatagli non volle che la sua armata, che pur era forte di più di 200 navi, rientrasse a Costantinopoli, anzi dispose che altre 50 navi venissero ad aumentarne le forze per ritentare la prova.
Le galere piemontesi, non ancora riposate dalle dure fatiche già sopportate, al comando di Andrea Provana ripartirono per raggiungere l’armata cristiana e giunsero, alla fine di luglio del 1566 con Alvaro di Bazan a Messina.
Il Leynì già aveva preveduto l’inutilità della nuova presenza dell’armata cristiana di fronte alla cresciuta potenza turca, ed infatti la flotta musulmana, forte di 115 navi oltre moltissime altre minori, uscita da Valona, minacciava Castelnuovo, Ragusa, Fiume e Trieste lasciando libera Malta.
Il magnifico sultano turco in quel tempo aveva dichiarata guerra a Massimiliano II e trovavasi quindi in lotta con gli Ungheresi per cui, impegnato ad abbattere il nuovo avversario aveva lasciato in pace i cristiani.Così stando le cose, nel settembre di quell’anno, il Leynì abbandonava Messina per ritornare a Villafranca.
Intanto Emanuele Filiberto per la costruzione d’una nuova galera, anziché richiederne consiglio al Provana, erasi rivolto al mastro falegname delle Galere Scaffa, per cui ne nacque un leggero screzio che però, data la grande famigliarità che il Conte aveva col Duca, venne subito a cessare.
Sappiamo che nel 1566 Andrea Provana aveva intrapreso un lungo viaggio in Francia e nel Belgio soffermandosi a Brusselles.
Siamo intanto nel secolo della rivoluzione religiosa con le grandi riforme che staccarono dalla Chiesa cattolica tante popolazioni (1) ed esercitarono larga influenza sull’indirizzo politico dei vari stati europei.
Durante i tormentosi anni di lotta in Francia e negli stati limitrofi tra cui lo Stato Sabaudo, rifulse l’abilità diplomatica di Andrea Provana.
A Nizza principalmente pullulavano gli eretici, avendo trovato l’eresia terreno fertile, presso gli stessi feudatari
Il Leynì, con sagace e fine politica, seppe a mezzo di amicizie, di confidenze, di legami di parentela, ecc., scovare i veri eretici e designarli al Duca.
Emanuele Filiberto poi, dal canto suo, non vedeva troppo ostilmente gli Ugonotti, sapendoli potenti e numerosi e, quantunque i papi Pio IV e Pio V si lagnassero per la troppa sua longanimità, non pensava ad emanare leggi troppo severe contro i riformati. E ciò nell’interesse del paese, dissanguato e povero per le guerre sostenute e, solo per imprudenza dei suoi ministri parteggianti gli uni pel cattolicismo, gli altri pel calvinismo, egli si vide costretto a promulgare il terribile editto del 10 giugno 1565 in cui pena la morte e la confisca dei beni, veniva intimato agli eretici del ducato di convertirsi entro due mesi o di espatriale.
Quest’editto colpiva persone elettissime del ducato, le quali ne vedevano di mal’occhio l’applicazione.
Andrea Provana, da uomo prudente e oculato, cercava di non inasprire gli animi, favorendo in ogni caso un subito accomodamento, servendosi così degnamente dell’influenza che esercitava sull’animo del Duca. Tanta abilità si mostrò chiare specialmente nella contesa del Duca contro gli Acros.
(1) Riforma Luterana in Germania, negli stati limitrofi d’Ungheria, Boemia, Prussia e Livonia e negli Stati Scandinavi, Riforma Zuingliana nella Svizzera, di Calvino a Ginevra, in Francia (gli Ugonotti), nei Paesi Bassi e nella Scozia, la Riforma anglicana ecc.
BOLLETTINO LEYNICESE LEYNI’ 06 febbraio 1916
Sorsero in Ascors, in Sospello ed in altri luoghi, proteste di Ugonotti per la capitolazione e confisca dei beni ed il Duca, temendo il peggio, ordinò l’arresto dei fratelli d’Acros permettendo loro la fuga in Francia.
I loro feudi d’Ascors,Todon e Cadenet vennero incorporati, sotto forma di commeda nella religione di S. Maurizio e Lazzaro, e dati ad Andrea Provana. Questi, consenziente Carlo Emanuele I nel 1589 lì rimise al proprio genero Annibale Grimaldi, figlio del Barone di Breuil e sposo di Francesca Provana, figlia del Leynì.
Andrea Provana, nell’autunno del 1567, accompagnò in Savoia Emanuele Filiberto che, dopo i trattati di Noyon e Losanna con i signori di Berna, si recava a prendere consegna delle terre che gli venivano restituite, cioè il paese di Gex ed i baliaggi del Genevese e del Chiablese.
Durante le sommosse degli Ugonotti in Francia che, guidati dal principe di Condè, molestavano re Carlo IX, il Leynì rimase a Torino accanto ad Emanuele Filiberto che, bisognoso della sua opera e del suo consiglio, non accettò la domanda di Antonio Doria di condurlo con le galee piemontesi in Ispagna, non fidandosi di lasciar partire le sue navi senza la guida del Provana.
Al principio del 1568 egli ritornò a Villafranca ove la sua presenza era necessaria per l’ordinamento dell’arsenale, del porto, dei forti e per la costruzione di nuove navi.
Riordinato tutto in breve tempo, nel febbraio dello stesso anno andò a Savona per le nozze d’un cugino.
Di là così scrisse a Baldassarre della Rivoira, Signore della Croce, suo cugino materno e uno dei gentiluomini piemontesi di maggioringegno e dottrina (1):
“ 1568, 11 febbraio, Savona.
Ill.mo s.r Cugg.o oss.mo. – Devo rispondere a doe lettere delli 4 et 24 di dicembre, ricevute ambe due in quattro giorni, et quanto sia alle cose di Casale, al mio partir di Corte lassai in notta al s.r. Cancell.o, et a mons di Cly (primo segretario del Duca) che ne tenessero particolarmente avisatta V.S. et delli altri occorrenti insieme. Non so se ne haveranno quella memoria che il ser.o di Sua Alt.a et il merto di V.S. richiedono. Io son venuto qua a Savona alle nozze di mio cugino et fra sei giorni al più mi retirerò a Villaf.ca al cargo mio, ove se mi scriverà tal volta delle sue nove, me ne farà gracia. Et quando sia al particolare delli suoi dinari V.S. intenderà dal s.r suo fratello et da m.r Giuseppe quello si è potuto fare, né sarà fuori di proposito che nelle lettere neg.i la tocchi un motto a sua Alt.a raccordandoli che da lei non ha modo alcuno di potersi sustentar in questa legatione, salvo con la provisione che li vada sua Alt.a che per ciò è molto necessaria li sia ben pagatta a soi tempi, et questo servirà per farla assignar in bon luoco, come per il passato. Et se a me occorrerà tornar qualche volta in Corte, non mancarò di fare et in questo et in ogni altra cosa sua di quelli officij che sono obligato. La ringracio della lettera che mi scrive ha mandatto a mia sorella, della quale non ho nova sono parecchi giorni, perché si mirano et comentano le lettere che entrano et escanodi Casale (a Casale il Leynì aveva una sorella, Violante sposa di Vespasiano Bobba, signore di Lu) più strettamente che non si faceva nel andar della guerra, et perciò restiamo di scriverci et visitarsi per non cader impensamente in qualche fastidio.
Mia moglie quale dio grazia con li figlioli sta benissimo, si raccom.a a V.S. et io li prego felicitate et contentezza, da Savona alli XI di febbraio 1568.
Di S.V. affecc.mo Cugg.o et fratello Andrea di Leynì
Ritornò con un mare agitatissimo su di una fregata, nave leggerissima, che, per un colpo di vento, si capovolse rovesciando nell’acque in tumulto, il Leynì ed i suoi compagni.
Ma egli conosceva benissimo il mare, gli era amico e, quale provetto nuotatore, non lo temeva anche se burrascoso.
Infatti, in brevissimo tempo, sfidando i marosi ed i cavalloni, salvò sé ed altri naufraghi.
A tale proposito così scrisse Ottaviano Cacherano d’Osasco:
<< Non li dirò di la gratia fatta da Iddio alli giorni passati a Mons.r di Torino, sig.r di Leinì,sig.r di Vinovo, di Ceresole, quali furono per negare andando da Savona a Nizza al passo della Cerusa, ove sendo la fregatta forzata da venti cascarono tutti in mare et il nostro Mons.r di Leinì si mostrò un altro Neptuno in modo che agiutato dala gratia di Dio niuno si he sommerso>>
Ritornato a Villafranca tuttosi occupò per il miglioramento del naviglio ducale. Intanto in seguito all’infausta giornata di St. Denis, avendo Carlo IX stipulata a Longjumeau la pace cogli Ugonotti, provvide a che lo stato Sabaudo non venisse minacciato dagli eretici capitanati da valenti condottieri quali il Principe di Condè e l’ammiraglio di Coligny.
A compenso di tanto lavoro per il bene del ducato, il 14 agosto del 1568 gli venne accordato il collare dell’annunziata , carica onorevolissima non avuta fino allora, all’infuori dei principi di sangue, che dai conti d’Entremont, d’Arignano e di Masino.
I Turchi ed i corsari continuavano intanto le loro molestie per cui Andrea Doria ed il Re di Spagna invitaronoEmanuele Filiberto a unire le galere piemontesi alle loro, per ingaggiare una proficua lotta contro gl’instancabili nemici.
Non potendo il Duca privarsi del Leynì, rifiutò l’invito dicendo che senza di lui le sue galere non sarebbero uscite dai suoi porti.
Trattavasi intanto di condurre in Ispagna l’arciduca Carlo, fratello dell’Imperatore Massimiliano II, e, mentre discutevasi su tale viaggio e sull’impiego delle galere piemontesi, Andrea Provana andò a visitare una delle sue sorelle inferma a cui era molto affezzionato (2).
Ritornato a Villafranca, s’occupò alacremente del viaggio in Ispagna, desiderando che le galere del Duca fossero apparecchiate a puntino, secondo gli ordini di emanuele Filiberto,e il 9 novembre a Genova, già attendeva l’Arciduca che il giorno 10 s’imbarcò sulla “Capitana”.
L’accoglienza del Leynì fu così squisita che l’ Arciduca ebbe per lui le più alte parole di elogio.
Tornato di Spagna, sul principio del 1569, ebbe subito ad occuparsi di affari diplomatici. La sua bravura anche in questo campo non si smentì, tanto che egli riuscì a porre in atto una una questione importantissima con Onorato I Grimaldi, signore di Monaco, vassallo del Duca per 11 parti di Mentone e Roccabruna.
Il 1569 fu un anno difficile per Emanuele Filiberto causa la questione degli Ugonotti, i quali, con attività sorprendente, celatamente tramavano per diffondere la nuova fede.
La miseria, per i lunghi anni di lotta, e, quindi, di mancata produzione era cresciuta tanta da originare una vera carestia. Il grano specialmente scarseggiava, per cui il Papa Pio V, onde sollevare le sofferenze di Roma, fece incetta di grano in Provenza. Una nave carica di tale merce, passando da Villafranca fu fermata dal municipio di Nizza che, istigato dalla popolazione affamata, dovette acquistare l’intero carico, pagandone l’ammontare, e distribuirlo al popolo morente di fame.
Il papa Pio V, sdegnato per tale fatto, ordinò al Duca Sabaudo la restituzione del grano pena la censura della bolla <
Il furore del pontefice cadeva pure sul Leynì, ritenuto complice dei nizzardi, tanto che egli corse il pericolodi venire scomunicato.
Intanto i disgraziati abitanti di Nizza domandavano pane, per cui il Provana, per quietare ogni animo e rimettere l’ordine e la tranquillità nella miserrima cittadina, fece sufficiente acquisto di grano.
Per il succedersi di tanti avvenimenti, specialmente per le continue lotte religiose, non mancarono le congiure e le trame contro lo stato Sabaudo, ma il Provana, da astuto uomo politico, seppe sempre sventare ogni triste disegno, tanto che in una lettera, così gli scrisse il Duca:
“né accade di dirvi quanto gradiamo la diligenza e destrezza che usate in queste et tutte altre cose di nostro servitio, che dovete, che ne dovete esser assai certo”
La tracotanza mussulmana era cresciuta smisuratamente, sia perché, dopo la presa di Costantinopoli i Turchi erano divenuti potenti in mare e in terra, sia per le disserzioni tra i sovrani d’Europa alcuni dei quali non avevano arrossito, come il cristianissimo Francesco I re di Francia, di unire la croce del Redentore alla mezzaluna di Maometto.
La Repubblica di Venezia aveva scalpitato molto per la caduta di Costantinopoli la quale, unita alle nuove scoperte geografiche, aveva prodotto una rivoluzione commerciale; pur nondimeno ricavava ancora dai suoi traffici tra il Levante e il Ponente ricchezze tali da far meravigliare tutti coloro, non esclusi i principi e i grandi signori, i quali ne visitavano la capitale. La sontuosità dei palazzi, la pompa e la magnificenza delle vesti, gli spettacoli, i ricevimentipubblici e privati tutto concorrevan a rendere Venezia uno dei soggiorni più deliziosi d’Europa. Eppure la Repubblica di S. Marco era in decadenza e, non ostante tanto sfarzo esteriore, non nascondeva agli occhi dei più, il suo stato aggravante.
Perciò, quantunque il Senato Veneto provasse una profonda antipatia perla Spagna, che tiranneggiava buona parte della penisola, non poteva non mostrarsene amico, per ottenere aiuti contro il Sultano il quale continuamente minacciava la Repubblica nei suoi possessi marittimi.
Eccoci così giunti all’epoca della contesa fra Selim II (3), Sultano dei Turchi, e la Serenissima.
Infatti Selimano II incominciò tosto a querelarsi con la Repubblica Veneta a causa delle violenze degli Uscocchi i quali facevano continue scorrerie lungo le coste albanesi,con non poca molestia del cabotaggio turco, on rispettando quello dei cristiani.
Selim minacciava di mandarvi un esercito per distruggere quel covile di ladroni, se il Governo della Repubblica non li avesse messi a dovere. Queste questioni della Sublime Porta, altro non erano che una scusa per mover guerra a Venezia la quale era padrona dell’isola di Cipro, che i Turchi che i Turchi agognavano possedere. Mustafà, capo dei giannizzeri, turco feroce e nimicissimo dei cristiani, istigava il proprio signore alla conquista di quell’isola così bella e così ricca, ritenuta quasi un antemurale contro la potenza ottomanae scalo opportuno per la riconquista del sepolcro di Cristo.
Nella notte del 13 settembre 1569 un gravissimo infortunio colpì Venezia con lo scoppio della polveriera che aveva incendiato l’arsenale facendo, fortunatamente, poche vittime e distruggendo 4 galee. Corse però voce che il danno fosse di gran lunga superiore, per cui, il Sultano ne approffittò per intimare alla Serenissima di consegnargli Cipro, osservando che, in caso di rifiuto se ne sarebbe appropriato.
Siccome i Turchi non occuparono subito Cipro, se ne impensierì il re di Spagna temendo per i suoi possessi d’Africa. In tale frangente Emanuele Filiberto non esitò ad offrire le proprie galere a Giov. Andrea Doria, per un’eventuale spedizione.
(1) Dopo Emanuele Filiberto ed il Leynì il Signor della Croce era la persona più intelligente del ducato (Gramegna, Mőnsu Pingon).
(2) Andrea Provana ebbe un fratello, Gaspare che gli sopravisse e morì senza prole, e quattro sorelle.
Cassandra andata a sposa ad Antonino Piossasco de’ Rossi di None governatore di Pinerolo. Violante, sposatasi con Vespasiano Bobba Maria, che sposò Giorgio Valperga di Monteu. Antonietta, che morì nubile.
(3) Solimano II “ Il Magnifico”, grande sultano turco, figlio di Selim I (1495 – 156). Sottomessi la Signoria e i Mamelucchi e rivolte le armi contro l’Europa, prese Rodi, invase ripetutamente l’Ungheria, assalì Vienna, marciò contro la Persia, prese Bagdad e conwquistò l’Jemen, fece alleanza con Francesco I re di Francia. Morì sul campo davanti a Szigethwar.
BOLLETTINO LEYNICESE LEYNI’ 05 marzo 1916
In seguito alla sventata congiura di Nizza, il Duca più non volle separarsi dal Leynì, essendogli troppo prezioso consigliere, e lasciò il comando a Gallian, provetto ed ardito uomo di mare, luogotente del Leynì. Però le navi non partirono perché, essendo i Turchi sbarcati a Cipro, la Goletta non correva pericolo (1).
Dopo quindici poderosi assalti dati entro 45 giorni e sempre eroicamente respinti, i Turchi riuscirono ad entrare a viva forza nella città, passando a fil di spada 26.000 persone (9 settembre 1570). Ai gentiluomini veneti che, nella misera città esercitavano pubblici uffici, vennero mozze le teste, degli altri si fecero orribili stragi.
Ciò impressionò gli Stati tutti, ed Emanuele Filiberto, fiero di avere un uomo tanto abile e valente quale Andrea Provana, mentre esprimeva il suo rammarico all’ambasciatore veneto per la perdita di Nicosia, gli offriva le proprie galere, sicuro che al comando del Leynì si sarebbero fatte onore.
Venezia aveva per il Provana, la massima stima, tanto è vero che l’ambasciatore veneto Morosini, parlando al Senato di Venezia, disse che:
”Mons.r di Leynì, general delle galere di sua eccellenza (Emanuele Filiberto) gentiluomo veramente molto da bene e molto intelligente….”.
Anche il Lippomanno, ambasciatore veneto alla Corte di Emanuele Filiberto, scriveva che:
”Mons.r di Linì, general di queste galee, il quale è Cavalliero dell’ordine di sua Ecc.za et huomo di molta professione sua di mare…..”.
Quando la Repubblica veneta accettò l’offerta d’Emanuele Filiberto, questi ne fu molto contento, e parlando coll’ambasciatore veneto ”si dilatò assai sopra la persona di Mons.r di Leynì, laudendolo di prudentia, desterità et molta nelle cose da mar…...”.
Egli era però riconoscente al fedele ammiragliodi tanto valore e ad ogni occasionene lo ricompensava. Così nel 1570, in occasione del matrimonio della figlia del conte d’Entremont Giachelina con l’ammiraglio Gaspare di Coligny, Emanuele Filiberto tanto per dimostrare che non temeva il famoso ugonotto, concedette al Leynì la unionedei luoghi di Alpignano e San secondo al feudo di Frossasco.
La guerra intanto non rumoreggiava solo nei lontani lidi di Cipro; le flotte turche scorrevano in pari tempo l’Adriatico, avevano preso varie piazze dell’Albania e della Dalmazia: Curzola, Cattaro oltre Candia e Corfù, sparso il terrore in Venezia stessa che in tutta fretta si dette a costruire fortificazioni, chiudere con galere e catene l’ingresso delle lagune, e piantare corpi di guardia lungo i lidi.
Il Senato veneto, abbattuto da tante perdite, dal pocoo niun frutto di tanti armamenti che costavano trecentomila zecchini al mese, disgustato dalle esitanze e dai rifiuti di Andrea Doria a cui attribuivasi la perdita di Nicosia, e della lentezza degli implorati soccorsi, già inchinava agli accordi e, sul principio del 1571 già n’aveva fatto alcune entraturecol gran visir Mehemet pascià.
Dell’isola di Cipro ancora gli restava Famagosta. Trascorso l’inverno nel fare ressa intorno alla città, Mustafà, che già aveva aperta la trincea intorno all’infelice agonizzante preda, mostrò a Marcantonio Bragadino, governatore di Famagosta, la testa di Niccolò Dandolo infilata sulla punta di una picca, minacciando la stessa fine se non si fosse arreso. Il prode gentiluomo rispose di preferire la morte all’infamia, e così l’assedio incominciò.
Fra le paure ed i disastri il solo grand’animo di Pio V resse fermo ed intrepido.
Spedì Marcantonio Colonna a Venezia, per ringraziare il Senato promettendogli nuovi e solleciti aiuti; spinse la corte di Madrid ad entrare in lega colla Santa Sedee colla Repubblica di Venezia, lega che fu firmata a Roma e proclamata sotto le volte di S.Pietro il 20 maggio 1571, poi, conoscendo per prova l’inutilità di ricorrere alle maggiori potenze cristiane, il venerando Vecchio si rivolse all’Italia, che rispose all’invito, inviando galere da tutti i porti, combattenti e duci da tutti i suoi stati entro terra (2).
Il 1° giugno 1571 la Serenissima pregava il Duca Sabaudo di mandare le sue galere a Corfù.
Emanuele Filiberto accettò l’invito, anzi diede istruzione ad Andrea Provana con la seguente lettera:
“Istruzione a voi conte di Frussasco et come habbiate a governarvi nel presente viaggio.
Ve n’andrete con le tre galee Nostre bene in ordine come vi abbiamo ordinato in conserva delle altre che passavano a Genova alla di Levante per andar più sicuro, salvo in caso che loro in caso che loro si detenessero in strada pur troppo, o che vi dessero altra occasione, come a bocca vi habbiamo lasciar la loro conserva.
Andarete in Otranto, et di là a Corfù, et più oltra per ritrovare il General dell’armata de Signori Veneziani, al qual vi presentarete, et gli offrirete ogni possibile servitio delle Galere et persona vostra, sì come desideriamo et vogliamo che effettuate, obedendoli in tutto quello che servitio della Seren.ma Signoria di Venezia vi sarà da lui comandato nella presente occasione di questa estate.
Et passatala detta occasione, procurerete di tornarvane con le dette galere a Villafranca quanto prima, et se sia possibile in conserva d’altre per maggior sicurezza.
Terrete il nostro stendardo con la riputazione et al luoco solito, non cedendo ad alcuno, salvo a quello di Sua Santità, et del Re et a quello di Venetia in questo caso solo.
Licentiato che sarete dal General de Venetiani, se il seren.mo D. Giovanni d’Austria vi richioedesse di andar con le galere in qualche servitio di S. M. Cat. lo farete pur che non sia per troppo tempo.
Se l’armata turchesca passasse di faro Messinaper venire a ponente senza differir punto vi licentierete dal General, et ve ne verrete con le Gallere a Villafranca con tutta diligenza, così convenendo al servitio N.ro.”
Dato In Turino alli 22 giugno 1571
Il comando supremo di tutte le forze riunite, fu affidato a Don Giovanni d’ Austria, figlio naturale di Carlo V, giovane di 24 anni, il quale, ricevuti gli ordini dal re suo fratello, subito lasciò Madrid dirigendosi con i principi di Boemia verso Messina, luogo di ritrovo di tutte le flotte alleate. A Napoli, per mano del cardinale Granvela, dopo una solenne messa, gli venne consegnato, in nome di S. Santità, il bastone di generalissimo e la bandiera benedetta per la guerra santa mandata dallo stesso Pio V.
Intanto il 26 luglio, Andrea Provana salpava con la Capitana, Piemontesa e con la Margherita da Nizza per mettersi a Corfù a disposizione di Sebastiano Venier, ammiraglio della Serenissima.
Con Ottaviano Moretto figlio del defunto Capitano Giovanni, comandante della Piemontesa; Giovanni Battaglino comandante della Margherita; Domenico Costantino comandante della Capitana, v’erano a bordo molti gentiluominidella nobiltà piemontese fra cui: D. Francesco di Savoia-Racconigi, il conte Chiaberto Piossasco di Scalenghe, Cesare Provana di Leynì, il cavaliere di S. Vitale, il capitano Giambattista Badat, Antonio Grimaldi, ecc. (3).
A Genova s’imbarcarono sulle navi del Leynì’ il duca d’Urbino Francesco Maria della Rovere,con molti altri cavalieri, i quali tutti volevano aver l’onore di combattere a fianco dell’illustre ammiraglio piemontese.
A Spezia il Leynì dovette tenere il letto per alcuni giorni causa una caduta, e quantunque il colpo fosse grave, trovavasi ”Dio grazie, senza frattura di ossa né alterazione di febbre”, per cui non aveva potuto consegnare in persona a Don Giovanni d’Austria “le tende e i padiglioni in nome di V.A.”.
Pure egli non si perdette d’animo e benchè ammalato andò colle tre galere piemontesi a raggiungere Don Giovanni, partito il primo di agosto da Genova, ove erasi fermato venendo dalla Spagnacolle sue galere.
L’8 agosto del 1571 arrivò con lui alle bocche di Napoli e “subito, la cittade mandò a supplicare il signor D. Giovanni che si contentasse poiché era già tardi di differire la sua entrata al giorno seguente, acciocchè potessero preparare il ponte e le altre cose concernenti, nel che furono compiaciuti da S.A. amorevolmente et così dettimo fondo a N.tra S.di Piè di Grotta, ove si stette tutta la notte seguente et il giorno dopo sino a hora di vespro,et si ebbe occasione di visitare li belli giardini et palazzi che sono su quella spiaggia, le due sepolture di due famosissimi poeti che sono qui assai vicine l’una all’altra, cioè quella di Virgilio et quella di Sanazzano”
Così il 9 agosto la flotta, aumentata delle navi di D. Giovanni di Cardona forte di 27 galere,fece il solenne ingresso nel porto. Don Giovanni, scrisse Andrea Provana, “… fu salutato prima da Castel Novo, poi dal Castello San martino et poi dal Castel dell’uovo, et ultimamente dalle navi, al che fu risposto da tutte le artiglierie di tutte le galere, che certo fu un bel sentire et così gionta la galera al Ponte preparato, con la Capitana di V. A. a banda destra et quella di Genova banda sinistra, fu incontrata dal Cardinal di Granvela, che venne a riceverlo sino in cima al ponte, il quale era assai grande e lungo et archibugeri della sua corte. Montato poi a cavallo si avviarono alla volta di Palazzo, il S.r Don Giovanni a banda destra et il S.r Cardinale a banda sinistra et immediatamente avanti loro andavano li due principi di Parma et Urbino con poi un numero infinito di altri cavalieri et signori, et ove si passava non solo le finestre delle case erano piene di Dame, ma nelle strade ancora li era grandissima quantità di carrette et cocchi di dame et di molti cavalli di signori che le accompagnavano…..”(4).
Ancora il Leynì scrisse da Napoli ad Emanuele Filiberto dicendogli: “…questa mattina (14 agosto 1571) il Cardinal di Granvela come legato di Sua Santità a quest’effetto ha consegnato il bastone et lo stendardo della Lega a D. Giovanni, nella chiesa di Santa Chiara, Cappella Reale fondata dalli re di Angiò, ove ancora adesso si vedono molte sepolture ben sontuose, né vièstato cerimonia di benedizione, perché già S. S. l’aveva benedetto in Roma…”
Le galere piemontesi a dispetto del sacrificio fatto dal Leynì e delle cure di Emanuele Filiberto, erano in tristi condizioni.
(1) Due città principali adornavano l’isola di Cipro e, con le fortificazioni, la rendevano sicura. Nicosia (in terra) e Famagosta (sul mare). Mustafà, alla testa d’un forte esercito, cinse d’assedio la prima, difesa da circa 6.000 uomini capitanati da Nicolò Dandolo.
(2) L’Italia, compresa Malta, era divisa allora in quattordici Stati, non calcolando le piccole signorie, ma una era la religione, una la patria, unanime l’ardore che questi sacri nomi accendevano nel petto di tutti.
Venezia armòdi nuovo venticinque galere, che unite alle altre formavano centotto con sei galeazze, e ne diede il comando a gentiluomini suoi ed a molti nobili di terra ferma.
Genova obliando le antiche sanguinose lotte congiunse le sue alle spagnuole.
Il nuovo granduca di Firenze Cosimo I spedì dieci galere montate dai cavalieri di S. Stefano che si unirono alle dodici di Roma comandate da Marcantonio Colonna.
Tre altre armate di tutto puntovi aggiunse il valente Emanuele Filiberto duca di Savoia, e sei ne spinsero in mare i cavalieri di Malta.
Le galere di Spagna, comprese quelle di Napoli e Sicilia, sommavano ad ottantuna con venti e più navi di carico.
I duchi Guglielmo Gonzaga di Mantova, Alfonso II d’Este di Ferrara, e la repobblica di Lucca spedirono combattenti.
(3) Segue Memorie
(4) Archivio centrale di Stato.
BOLLETTINO LEYNICESE LEYNI’ 08 aprile 1916
La Margherita, tornata colle altre di Spagna e che “ già fu Moretta non può resistere alle botte e fa tanta acqua che è una cosa incredibile et molto pericolosa, né si basta a rimediare per essere il legname tanto vecchio che non si può più aggiustare” e Andrea domandò al suo Duca il permesso di farne costruire una a Napoli, non essendovi legname pronto a Villafranca. Ma Emanuele Filiberto non lo concesse, e la Margherita ebbe al pari delle altre la sua parte di glorianella battaglia di Lepanto, nè fu necessario di spendere per averne un’altra, perché Andrea Provana, dopo la vittoria, la rimpiazzò con una presa ai Turchi, e non volendo che vi fosse chi potesse menare vanto di averne in suo potere un pezzo solo, la bruciò. (1).
Non solo il cattivo stato della Margherita dava fastidio al Leynì, mentre trovavasi a Napoli, bensì anche la deficienza del danaro necessario per le spese divenute maggioriessendo “l’anno difficile et carestioso, massime per il pane, che è quello che più importa in galera, et io sono costretto a mangiare il mio in herba et ho fatto partito qua con uno mercante che mi ha accomodato di denari et mi ha provvisto di vettovaglie con le quale che mio interesse sopra il quartiere che finirà il mese prossimo di settembre, che ho promesso farli sborsare in Genova, sì che humilmente supplico V. A. che alla fine di settembre non manchi di pagar detto quartiere, conforme alla mia procura, acciò io possa soddisfar et complire alla parola mia”
Oltre a queste gravi difficoltà, la malattia era entrata nelle galere piemontesi ed il 5 settebre, mentre trovavasi a Messina, i malati sommavano già a 250 uomini fra soldati di remi, gli schiavi ed altri delle ciurme, che il Provana fu costretto lasciare in Messina, “sopra una galera vecchia, con buon recapito di medicina et altri bisogni et qualche huomini da bene che ne avranno buona cura et ciò per due respecti, l’uno per non portar quell’imbarazzo in galera, andando in luoghi pericolosi, et l’altro per darli comodità a loro di essere serviti et potersi restaurare et perché non ne mancassero molti uomini a remo, ho pensato di assoldare sino a cento vogatori di buona voglia, sino al nostro rittorno qua, che se bene mi correrà questa spesa di più, bisogna aver pazienza ove la necessità ne costringe, parendomi che in questa occasione sarebbe di poco honor et di poca reputazione a V. A. il lasciar indietro una galera desarmata non essendovi alcun altro che lo faccia, se bene ve ne sono molti che ne hanno tanto bisogno come noi.”
L’armata della Lega era ancora a Messina quando giunse la notizia che Famagosta era caduta nelle mani dei feroci Musulmani che ne fecero perire i difensori fra i più atroci tormenti.
All’annuncio di sì orrenda catastrofe, l’armata cristiana, che da Messina era passata a Candia (2), ruppe finalmente gli indugi e deliberò di combattere.
A Genova s’imbarcarono sulle navi del Leynì il duca d’Urbino, Francesco Maria della Rovere, con molti altri cavalieri i quali tutti volevano avere l’onore di combattere a fianco dell’illustre ammiraglio piemontese.
Il Leynì dovette tenere il letto per alcuni giorni, causa una caduta; ma, quantunque il colpo fosse grave, non v’era “gran fractura de osso, né alterazione di febbre”.
L’ 8 agosto, l’armata giunse a Napoli ed il 9 aumentata delle navi di Don Giovanni di Cordova, forte di ventisette galere, fece il solenne ingresso nel porto. “Don Giovanni” scrisse Andrea Provana, “fu salutato prima da Castel Novo, poi dal Castello di S. Martino et poi dal Castel dell’Uovo et ultimamente dalle navi, al che fu risposto con tutta l’artiglieria di tutte le galere, che certo fu un bel sentire, et così gionta la galera Reale al ponte preparato, con la Cappitana di V.A. a banda destra et quella di Genova a banda sinistra, fu incontrata dal Cardinal di Granvela, che venne a riceverla in cima del ponte, il quale era assai grande et longo et tutto coperto di damasco delli colori di S. A., il che fu tutto coperto dalli allabardieri et archibugeri della sua corte. Montati poi a cavallo s’aviarono ala volta del palazzo il Signor D. Giovanni a banda destra et il Cardinale a banda sinistra, et immediatamente avanti luoro andavano li duoi principi di Parma et Urbino con poi un numero infinito d’altri cavallieri et Signori, et ove si passava non solo le finestre delle case erano piene di dame, ma nelle strade ancora li era grandissima quantità di carrette et cocchi di dame et molti cavalli de signori che le accompagnavano..”
Il 23 agosto il Leynì si trovò a Messina facente parte della flotta di D. Giovanni d’Austria (3).
Essa era forte di 208 galere e di 6 galeazze tutte al comando di D. Giovanni. A Cefalonia i Cristiani, che già intendevano dare battaglia, appsero che l’armata turca, al comando di Alì-Pascià, si trovava nelle acque di Lepanto, quindi vogarono per quella parte la sera del sabato 6 0ttobre. Nella domenica, 7 ottobre, giunsero ad Itaca, e poco dopo, alle Curzolari ove s’incontrarono con tutta la potente flotta turca, forte di 230 navi.
Subito le flotte si divisero. La cristiana fu ripartita in tre squadre: la 1^ di 61 galere, al comando di D. Giovanni d’Austria, nel centro; la 2^ di 53 galere, al comando di Giov. Andrea Doria, alla destra; la 3^ di 53 galere, al comando d’ Agostino Barbarigo, alla sinistra.
Le galere piemontesi si trovavano:
La Capitana, con Andrea Provana, al centro; la Piemontesa e la Margherita nella squadra del Doria.
L’armata turca fu così divisa:
Al centro, Alì Pascià con 94 galere; alla destra Mohamed Sciaurak con 53 galere; e alla sinistra Ou loudj-Alì con 75.
(1) Archivio di Stato. Lettere di Andrea Provana.
(2) Il 16 settembre 1571 la flotta partì da Messina, il 17 si trovava alla Fossa di S. Giovanni, il 19 al capo Colone, il 28 a Cefalonia.
(3) Prima che la battaglia incominciasse, sulla nave di D. Giovanni fu inalberato lo stendardo della Lega, benedetto e mandato dal Pontefice.
BOLLETTINO LEYNICESE LEYNI’ 14 maggio 1916
I Cristiani, prima dell’attacco, trascinarono davanti all’armata sei galeazze, distanti le une dalle altre in modo che i Turchi, per assalirle, dovevano passare fra di esse. In fatti le navi turche, per correre all’assalto dei cristiani, s’avanzarono: ma, penetrando tra le galeazze, subirono gravi danni da parte delle artiglierie. L’attacco fu feroce, la mischia grandissima.
“La Reale dei Turchi” scrisse Andrea Provana, “la quale s’era incontrata con la Real nostra, fu rimessa assai presto et tagliata la testa al Cassà et portata a S. A., pigliati due suoi figliolini vivi.”
La “Capitania” di Savoia investì la terza galera presso “la Reale” dei Turchi; ma un’altra galera nemica accorse alla difesa ed assalì la nostra dalla parte dello schifo “ a tal che per un pezzo ne bisognò combatter contra due non senza danno et perdita di molti huomini da bene” Lo stesso Andrea Provana ricevette un’archibugiada alla testa, e altre forse ne avrebbe toccate se il principe d’Urbino non gli avesse donato un murione che gli servì alquanto di riparo.
Tuttavia, la ferita fu sì grave da privarlo, per quasi mezz’ ora, d’ogni senso.
Riavutosi, coraggiosamente riordinò l’attacco e, con l’aiuto d’una galera di D. Alvaro di Bazan, catturò le due galere contro cui combatteva. A Lepanto, “La Piemontesa”, quantunque avesse combattuto con impareggiabile eroismo, dovette cedere perché assalita da forze preponderanti. Tutti i difensori, compreso Ottaviano Moretto, morirono,salvo dodici.
I Cristiani perdettero 8.000 uomini, mentre i Turchi ne perdettero 30.000. I collegati sommersero o arsero, per non parlare di semplici fusti, 80 galere nemiche, ne presero 117, liberarono molti schiavi obbligati ai remi e fiaccarono l’orgoglio smisurato dei Mussulmani.
Perirono, in quel giorno, moltissimi eletti e valorosi cavalieri, fra cui Agostino Barbarigo (1), la seconda autorità della flotta veneta, ma la vittoria rimase ai cristiani. Tanto splendita vittoria fu salutata con gioia in tutta la Cristianità; ma più di tutti ne fu lieto il vecchio pontefice che l’aveva preveduta. Più d’ una volta egli fu udito esclamare: “Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Johannes” (2).
Il valore dell’ammiraglio Leyniceyse, fu straordinario e di lui così scrisse un poeta spagnuolo, il conte Real:
Monseñor de Lenì bien mostrado
Valor encarencido y alto esfuerzo;
Golfes heridas diò, sangue ha vertido
Mas si bien lo mirais no queda sano
Testigo es la cabeça y el siniéstro
Braço, donde una roxa vena sale
Corriendo accelerada va bañando
El affrontado gesto y blancas armas
Andrea Provana, a vittoria compiuta, pensò a riordinare le sue navi di cui una, la Margherita era in pessimo stato. Non ancora del tutto ristabilito per per le ferite riportate, ricadde causa le troppe occupazioni, così che dovette porsi a letto “et fui talvolta vicino a far vela”. Data la sua robistrissima, guarì ed il 26 ottobre già si trovava a Corfù. Il 1^ novembre giunse, con Andrea Doria, Ettore Spinola e Marcantonio Colonna, a Messina seguito dalla flotta spagnuola e da quella pontificia. Il 17 era a Civitavecchia; sul finire di novembre a Villafranca e il 1^ dicembre a Torino, ove Emanuele Filiberto lo ricevette a braccia aperte.
Come fosse reputata forte e ben diretta la piccola flotta sabauda, lo dimostra il fatto che, stati importantissimi, come la Spagna e Venezia, la desideravano nelle più importanti spedizioni navali. Ad avvalorare la cosa, riportiamo la seguente la seguente lettera della Serenissima al suo Ambasciatore a Torino Lippomano:
1571, 28 dicembre, Venezia
“All’ Ambasciata In Savoia,
Desiderando noi che le galee di Sua Altezza si uniscano anche l’anno venturo con l’armata nostra per servitio della lega, et acciò che ogni uno conosca la continuata buona intelligentia et stretta amicitia che è tra noi, al che s’aggiunge anco la prudentia et destrezza rt molto valore del S.or de Linì, suo generale, ci è pèarso di farvi le presenti per dirvi co’l Senato che fatto intendere a Sua Altezza questo nostro desiderio, debbiate a nome nostro pregarla che voglia esser contenta di ordinare, primavera, le p.te sue galee vadino in tempo opportuno ad unirsi con l’armata nostra, acciò che insieme si possa operar di quelle cose che possino esser a beneficio della christianità et particolare della S.ta lega contro il comune inimico a gloria et esaltazione del nome christiano, avisandoci della executione (3).
Dopo il 1571 l’opera del Leynì verso il Duca fu tutta di diplomazia, in cui seppe conquistarsi fama universale. Trattò la restituzione di Pinerolo e Savigliano, quella d’Asti e di Santhià, l’acquisto di Oneglia, l’occupazione del Marchesato di Saluzzo riportando ovunque strepitose vittorie a favore di Emanuele Filiberto.
Il Principe, come tutti sanno, tornato in possesso degli Stati aviti, per quanto i tempi lo consentivano, fece progredire l’istruzione pubblica (trasportò l’Università da Mondovì a Torino); riformò gli ordini giudiziari, le leggi criminali, ecc.; fondò opere pie, rialzò le cittadelle diroccate, ne costruì delle nuove a Torino, a Cuneo, a Momeliano, ecc., dispensò, mercè un tributo in denaro, i vassalli dall’abbligo feudale della milizia, riordinò l’esercito “mettendo la base di quell’educazione guerriera del vecchio Piemonte, la quale ebbe parte non poca nel risorgimento politico della patria nostra”. E moltissime altre modificazioni apportò, tutte utilissime, coadiuvato sempre dall’instancabile Provana, il quale, dopo la pace tra Venezia e il Turco, fu adoperato con successo negli emergenti del Marchesato di Saluzzo ove i Calvinisti avevano la strada aperta per penetrare in Piemonte.
Il 30 agosto 1580 moriva Emanuele Filiberto, pianto amaramente dal Leynì che, dal suo successore Carlo Emanuele I, ottenne la conferma delle cariche, degli onori e degli assegnamenti goduti sotto il deceduto Duca. Egli si distinse tanto che l’Amministrazione civica di Torino, ricono-scente, lo dichiarò, con ordinazione13 novembre 1583, Patrizio torinese, titolo che solo veniva concesso alle più alte ed illuminate menti. Fortunatamente le virtù di sì grand’uomo furono ereditate dai figli suoi, che tennero alto l’onore del casato, ricordando quanto egli, era solito dire: “L’ambizione inebbria i cortigiani, non meno che il vino i tedeschi”.
Intanto tre questioni gravissime turbavano i sogni di Carlo Emanuele I: le ragioni della sua Casa sopra la città di Ginevra; il diritto alla successione dei marchesi di Saluzzo e a quella dei marchesi di Monferrato.
Tali riaquisti non potevansi ottenere che con l’uso delle armi, per cui ne naquero nuove e lunghe lotte. Andrea Provana, già vecchio, non potè vedere la fine di tale conflitto perché, ferito in un duello, morì a Nizza il 29 maggio 1592.
La sua salma fu trasportata nella chiesa dei Provana di Frossasco, suo feudo. Molto fu pianta nel Ducato sì insigne persona, e la Casa di Savoia, a testimonianza della riconoscenza che la legava all’illustre ammiraglio piemontese, gli fece erigere sullo scalone del Palazzo Reale di Torino, una statua di marmo, opera del professor Simonetta.
Sulla sua tomba si legge le seguente epigrafe, fatta scolpire dal nipote Francesco Provana.
ANDREAS PROVANA
DOMINUS DE LEYNI COMES DE FROSASCO
EMANUELE PHILIBERTI SABAUDIAE DUCIS
DISCRIMINUM SOCIUS VICISSITUDINUM CONSORS
PRAETORIAE COHORTI MARITIMAE CLASSI CASTRIS ARCIBUS PROVINCIISQUE PRAEFECTUS
TORQUATORUM AC SS. MAURITII ET LAZARI EQUITUM A PRINCIPIBUS PRIMUS
BELLIS GALLICO GERMANICO BELGICO ITALICO TURCICO
TERRESTRIBUS NAVALIBUS EXPEDITIONIBUS AC TROPHAEIS CLARUS
AVITA FIDE INVICTA VIRTUTE CLARA INTER ARMA PIETATE
DE PRINCIPE DE REGNO DE CRISTIANO ORBE OPTIME DIUTISSIME MERITUS
SPRETA UBIQUE FORTITER MORTE NICEAE TANDEM SANCTISSIME OBITA
GRANDIS ANIMA EXUVIIS INDE TRANSLATIS INTER MAJORUM CINERES
HIC QUIESCIT.
PRONEPOS FRANCISCUS PROVANA DOMESTICI HEROIS EX SECTATORE ADMIRATOR
SACELLO INSTAURATO COMPOSITO TUMULO HUNC LAPIDEM TOT VIRTUTUM TESTEM
MONUMENTUM POSTERIS ATQUE EXEMPLUM PONEBAT
ANNO SALUTIS MDCCIII
Per chi non conosce la lingua del Lazio, mi pregio di tradurre il bell’elogio in cui, in poche parole, è ricordato ciò che maggiormente onora l’eroe.
Andrea Provana
signore di Leynì conte di Frossasco
a Emanuele Filiberto duca di Savoia
nei cimenti e nei vari casi socio e consorte
alle guardie del corpo alla squadra ai castelli fortezze province preposto
tra i cavalieri del Collare e quelli dei SS. Maurizio e Lazzaro primo dopo i principi
nelle guerre gallica germanica belgica italica turca
in spedizioni terrestri e marittime chiaro
per l’antica fede invitta virtù e insigne pietà fra l’arme
in lunghi servigi del principe del regno di tutta la cristianità benemeritissimo
per la morte affrontata intrepidamente in terra e in mare e santamente incontrata in Nizza anima grande
indi trasferite le sue spoglie tra le reliquie dei maggiori
qui riposa.
Il pronipote Francesco Provana imitatore e ammiratore del domestico eroe
nella restaurata cappella sopra il suo avello poneva monumento ai posteri ed esempio
questa pietra testimone di tante virtù
nell’anno di redenzione 1703.
In tempi in cui figli di Leynì son chiamati a versare eroicamente il sangue per la Patria, la figura del prode compaesano vanto della nobiltà piemontese, sorge fiera, bellissima, maestosa, sfavillante di gloria. Rimira i ruderi delle antiche castella, scorge vuoti i casolari un giorno sì pieni di gioia pura e salutare, legge l’angoscia, il dolore, la speranza sul volto di tutti e, conscio della lotta santa ch’or si svolge sull’Alpi nostre, spinge il sicuro sguardo sulle vette nevose e sorride ai baldi Leynicesi, pronti a consacrare l’ardente e giovin vita per l’Italia bella. L’antico valore ancor scorre in quelle vene…il possente amor patrio fa polpitare quei cuori… e l’eroe di Lepanto li benedice. Tra le rovine dell’avito maniero, un albero trova: quello della gloria immortale. Un ramo ne recide, lo piega a corona, ne lega gli estremi con il tricolore e: “Figli di Leynì – esclama – del bel paese che già mi fa feudo, l’antico signore, testimone dell’odierne nobilissime vostre gesta, v’incorona.
(1) Colpito da una freccia in un occhio, cadde sul ponte della sua nave non cessando di dare, finchè la squadra contro cui combatteva non fu del tutto sottomessa. Avuta notizia della vittoria, quale novello Epaminonda.
(2) Don Giovanni d’Austria, come fu prode in guerra, così fu umano coi vinti e restitui, coprendoli di doni (generosità alquanto eccessiva), i figli di Alì-Pascià fatti prigionieri. Nulla tenne dell’immenso bottino fatto sul nemico e solo accettò un dono di 30.000 corone, per distribuirli ai feriti di Lepanto.
Però, questa vittoria, non bastò a rassicurare né Venezia, né la Cristanità. Dopo 9 mesi (luglio 1572) i Turchi tornavano in mare con un’armata di 250 vele. Venezia voleva si proseguisse con massimo ardore la lotta e invitava D. Giovanni d’Austria a dare nuova battaglia; ma non le fu possibile smuovere il giovane Principe dai suoi propositi anche perché trattenuto dagli ordini del suo geloso fratello Filippo II.
(3) Della battaglia di Lepanto, molto furono gli scrittori che se ne occuparono, molti furono gli scrittori che se ne occupparono, narrandola più o meno estesamente. Giov. B. Rosario nel “De victoria Christianorum ad Eschimadas” scrive: “Erat in eodem comitatus Lignius, vir summo nobilitate et bellica virtute praestans, quem cum suis triremibus ad Christianam religionem defendendam, et ut nobis gratum faceret, miserat summa animi alacritate propensaque voluntate Emanuel Philibertus, Sabaudiae dux illustrissimus.