ANDREA PROVANA, commento storico sui Barbareschi, la legalità e la vita nel XVI secolo a cura di Beppe Leona e Michele Privileggi.

26/03/2014 - UNI 3 - Leini

Le paure i tradimenti che in qualche modo condizionavano le scelte politiche di Andrea Provana erano cose da paura anche per i più coraggiosi e valorosi soldati, per questo è importante entrare con la fantasia in quel mondo che quasi ognuno di noi avrebbe voluto vivere per qualche giorno, da ricchi naturalmente, ma ora facciamo un salto indietro nel tempo e......Immaginiamo per un attimo le notti delle città poco illuminate e poco sicure, un forte rumore di passi e zoccoli di cavalli, grida e urla e da dietro una finestra poter vedere le guardie che trascinano via per i capelli una o più donne incatenate che non sarebbero più ritornate alle loro case, in poche parole la Caccia alle Streghe..... Naturalmente a tutto questo si devono aggiungere le congiure, i tradimenti, le pestilenze la fame che falciavano la popolazione...insomma non era proprio un quadretto facile e per questo bisognava essere dei maestri nel destreggiarsi a corte e anche nei confronti dei "vicini" invidiosi. Di questo il Provana ne era certamente al corrente come era al corrente che le allucinazioni e le scene teatrali degli indovini e delle "streghe" erano provocati da intrugli e misture di erbe e non dal demonio. Queste "piante" vennero attribuite dal clero potere del Diavolo e allora si proclamò la proibizione del tabacco e l'uso delle erbe , radici e funghi atti a modificare ed a dilatare la percezione e gli stati di coscienza che vennero definiti come blasfemi e superstiziosi. Questo tipo di giudizio fu determinante in questo periodo della caccia alle Streghe.

Nonostante tutti i pericoli molti potenti si facevano predire il futuro ...come oggi ascoltiamo l'oroscopo....senza credere veramente, ma lo ascoltiamo...tanto non fa male, oggi....ma allora bisognava essere molto attenti, perchè la parola indovino rischiava di mescolarsi anche per motivi politici alla parola stregone o strega con tutto quello che ne conseguiva.

Il periodo più intenso dei "processi per stregoneria" si colloca tra il 1550 e il 1650, anni in cui nacque l’esigenza di individuare un capro espiatorio per spiegare le ragioni del malcontento generale: in questo caso ci si accanì sulle “streghe”.

Secondo le teorie degli inquisitori esse adoravano Satana, e usavano le herbarie popolari ovvero coloro che oggi definiamo “guaritrici di campagna”, che incarnavano il ruolo di medici, erboriste, levatrici e per questo erano le principali vittime di torture di ogni genere e tipo in nome di un fantomatico principio eretico in antitesi col Cristianesimo.

Quando poi l’arte magica fu accomunata all’eresia iniziò la vergognosa caccia alle streghe.

Proprio in questi anni il nostro personaggio "Andrea il Leini" dimostrò la sua forza e astuzia in tutti i campi senza mai, o quasi, intoppare in tranelli o tradimenti di corte, riuscendo portare a termine quasi tutti i suoi progetti. Comunque , due anni dopo l’emanazione della bolla sulla “stregoneria” venne diffuso il manuale chiamato Malleus Maleficarum, finalizzato allo scopo di raccogliere tutte le informazioni e le conoscenze sulla stregoneria nei confronti della figura femminile che fin dall’antichità era considerata un essere imperfetto ed "incompleto", la cui natura di peccatrice era incarnata perfettamente nell’immagine della strega. Oltre che descrivere minuziosamente le pratiche magiche compiute dalle streghe, il manuale consigliava le azioni giuridiche da intraprendere....per estorcere confessioni...e il metodo più consigliato era la tortura :

“Se l'imputata non confessava la "verità" né con le minacce né con le "mirate promesse", allora i ministri proseguivano l’interrogatorio con la tortura nei modi consueti, ma secondo quel che esige il crimine e naturalmente il notaio scriveva tutto sul processo per rendere tutto legale... modalità dell’interrogatorio, risposte.... e si noti che se la presunta strega confessava fra i tormenti doveva poi essere condotta in un altro luogo perché nuovamente riconosca il "crimine" non solamente a forza di tormenti.

La legalità dell’inquisizione diretta dal Malleus Maleficarum instaurò un regno di terrore in tutta Europa. La regola di norma utilizzata era semplicissima: qualunque fatto sospetto su cui giurassero due o tre testimoni veniva accettato come vero e definitivamente provato. Tutto ciò naturalmente poteva essere usato come arma per eliminare persone scomode senza troppe difficoltà.

Nella seconda metà del XVI secolo, dunque, sia i cattolici sia i protestanti mandarono al rogo centinaia di donne accusate di stregoneria. Va però ricordato che la Chiesa non aveva la competenza di mandare al rogo le imputate, poiché le condanne inquisitorie per stregoneria erano relative alle eresie e non avevano il titolo di decretare la morte dell’imputato, ma poiché l’eresia era considerata astutamente un reato civile scattava automaticamente la pena di morte con relativa confisca dei beni della vittima che venivano divisi a metà fra la Chiesa ed il potere temporale. Sicuramente queste terribili farse, servivano anche a distrarre l’attenzione da altri processi (come avviene anche oggi) che in quegli anni riguardavano altri uomini potenti e protetti. In definitiva Andrea Provana viveva e lavorava in una oscura trama di rapporti politici, economici e interessi personali facenti sfondo ad una delle pagine più nere della nostra storia.

Sono sufficienti questi pochi accenni per capire come doveva essere difficile vivere e destreggiarsi tra tutti questi pericoli e insidie e uscirne vincitore. Immaginiamo o possiamo immaginare come si poteva vivere in quel periodo, una mossa o una parola sbagliata ed eri subito arrestato e condannato...e quindi anche le scelte di governo, politiche dovevano essere molto oculate per non dare fastidio ai potenti e alla chiesa.

LE INVENZIONI

In questo marasma di terrore, epidemie, carestie, guerre e piraterie, processi alle streghe c'erano però molte cose positive e molte invenzioni che aiutarono a sopravvivere , a lavorare , e molti degli oggetti che ancora oggi usiamo, anche il nostro "il Leini" li usava, erano gia stati inventati in quel periodo....

Chi l’avrebbe mai detto che, nel periodo ritenuto da moltissimi studiosi come statico, strangolato dalla religiosità e buio, i cervelli funzionassero comunque? Eccome se funzionavano. Se osserviamo quello che ci circonda sicuramente vedremo un paio di occhiali... eh si, questa è un’invenzione che ha preso vita nel 1300 circa e si è poi evoluta nel tempo. Pensate che rivoluzione ebbe la creazione di questo piccolo oggetto nella vita dei monaci amanuensi, o dei letterati e anche degli scienziati non più costretti ad abbandonare il loro lavoro a causa dell’abbassamento di vista provocato dall’età o da difetti di vista.

Continuiamo ad osservare e sicuramente in qualche cassetto, troveremo delle mutande, pantaloni e maglie con i bottoni... Ebbene, tutte invenzioni medievali. I bottoni per esempio nascono nel XIII secolo e in breve tempo, da semplici orpelli indice di ricchezza venduti dai gioiellieri, si trasformano in pratici oggetti in ottone e rame, permettendo soprattutto alle donne il poter indossare abiti più stretti, che potevano semplice-mente slacciarli per essere infilati. Le mutande che all'epoca romana erano considerate un’usanza barbara, presero piede come indumento essenziale. Al castello della Manta, per fare un esempio, notiamo personaggi che indossano mutande dal taglio modernissimo "Il Bagno dell’Eterna Giovinezza". Castello della Manta (Cn)

Proseguiamo il nostro giro turistico. e facilmente potremo trovare i Tarocchi, che spesso venivano usate dalle cartomanti in questo periodo....gli scacchi, creazione indiana dell’VIII secolo, che prese poi piede in Occidente molti anni dopo. Le carte da gioco preferite dai re e dalle ricche famiglie, ebbero il loro apice di sviluppo verso l'inizio del XVI secolo, l’uso di mangiare seduti, i maccheroni e i vermicelli sono stati creati anche grazie all’uso della farina prodotta dalle macine dei mulini a vento o ad acqua, (questa solo miglioria medievale) e come non ringraziare l’inventore della forchetta. i caminetti, che permisero il migliore riscaldamento degli ambienti, che, unito all’utilizzo dei vetri alle finestre, verosimilmente aiutò non poco le persone a non ammalarsi più a causa dell’umidità della loro casa, ieri come oggi esistevano di già i disordini nelle università, qualche truffa di qualche banca fallita, l'orologio da tasca (ammodernamento delle meridiane), La matita come la conosciamo attualmente fu creata nella seconda metà del XVI secolo, dopo la scoperta nel Cumberland, in Inghilterra, di miniere del minerale detto grafite: fu scoperto un giacimento di grafite estremamente pura e solida che venne inizialmente utilizzata per segnare il bestiame.

Già nel XV secolo la città di Chieri (Torino) produceva un tipo di fustagno di colore blu che veniva esportato attraverso il porto antico di Genova, dove questo tipo di "tela blu" era usata per confezionare i sacchi per le vele delle navi e per coprire le merci nel porto e quindi verosimilmente anche il Provana ne fece ampio uso. Il termine inglese blue-jeans infatti si pensa derivi direttamente dalla frase bleu de Gênes ovvero blu di Genova in lingua francese, non dimentichiamo il termometro, il microscopio, il carattere corsivo, la caffettiera, la mappa della terra con l'America, il cassettone, il calendario gregoriano, il telaio meccanico l'.incisione dei diamamanti e altro che mi sfugge.

Il 25 gennaio 1563, sette cittadini torinesi fondarono la Compagnia della Fede Cattolica sotto l’invocazione di San Paolo. La confraternita si proponeva il duplice scopo di soccorrere la popolazione gravata dalla miseria, dopo anni di dominazione straniera, e di arginare l’espansione della riforma protestante. L’aiuto ai poveri, in particolare ai “vergognosi”, nobili e borghesi decaduti, si esplicava attraverso una discreta e capillare assistenza domiciliare.

Nel 1579 la Compagnia fondò il Monte di pietà, per sottrarre al flagello dell’usura i ceti più deboli, attraverso la corresponsione di piccoli prestiti su pegno. Nello stesso periodo prendeva avvio l'assistenza femminile con l’erogazione di doti e l’apertura della Casa del soccorso (1589) e successivamente (1683) della Casa del deposito. L’Ufficio pio, costituito nel 1595, gestiva l’attività assistenziale e religiosa della Compagnia.

I paolini collaborarono alla costruzione della chiesa dei SS. Martiri, all'istituzione del Collegio dei nobili convittori, dell’Albergo di virtù, dell’Ospedale di carità. L’incremento del patrimonio, grazie ai lasciti delle famiglie piemontesi, determinava un’intensa attività finanziaria, culminata nell’assunzione dell’amministrazione del debito pubblico nel 1653. Dopo aver raggiunto il massimo sviluppo a metà Settecento, la Compagnia fu soppressa dal governo repubblicano francese nel 1802.

LE MALATTIE (filmato della peste e foto)

Dall' inizio del Seicento predominarono il tifo e le febbri di origine tifoide, legate a situazioni di sottoalimentazione, alla miseria, alle migrazioni. Ma incidevano anche la malaria, il vaiolo , tutte epidemie strettamente legate a fattori sociali, e probabilmente con diversa incidenza sulle diverse classi sociali, contrariamente a quanto accadeva per la peste.

Dalla seconda metà del XVI secolo né il tifo né le altre epidemie provocarono più delle catastrofi di intensità paragonabile a quelle provocate dalla peste, gli effetti demografici derivarono piuttosto dal fatto che le crisi si ripresentavano, assai frequentemente (specie in certi periodi) e in modo estremamente diffuso. Il periodo delle epidemie sociali fu caratterizzato, dalle grandi ondate epidemiche del tifo petecchiale, dalla recrudenza del vaiolo,

INFEZIONI E CONTAGIO

L'epidemia è brutale, improvvisa, massiccia, spettacolare e temporanea, mentre l'endemia è costante e passa facilmente inosservata. Si registrano le epidemie di peste o di colera, mentre l'endemia malarica viene considerata banale e normale, soprattutto tra i popoli che ne ignorano le modalità di trasmissione. Il concetto di contagio poiché l'uomo ha sempre bisogno di spiegazioni, ha inventato delle cause per le epidemie. il Medioevo cristiano vedevano nell'epidemia un'azione divina diretta a punire gli uomini per la loro incredulità, i loro vizi e i loro peccati.....

Tuttavia, fin dal Medioevo, alcuni medici arabi come Ibn Khatima e Ibn-al-Khatib ritenevano che, per dar luogo a un'epidemia, fosse necessario che degli animaletti microscopici, come degli 'spiriti' sottili, potessero passare da una persona all'altra, e che in questo modo il malato contagiasse il suo vicino. Nel XVI secolo Girolamo Fracastoro, illustre medico italiano, era dello stesso avviso. Su quest'idea semplicistica si basarono per più di mille anni le misure preventive

Notevoli furono però, in Italia e nelle regioni limitrofe, le epidemie (peste dei bambini, morirono quasi esclusivamente minori), 1527-1529 (favorita dalla guerra, colpì duramente soprattutto Lazio e Lombardia), 1575-1577 (peste di San Carlo Borromeo Ringraziamento con pellegrinaggio a Torino per ringraziare la S,Sindone fatta arrivare da Chambery), colpì con due versioni diverse del morbo, da Sud, penetrando da Sciacca, una malattia importata da corsari italiani che avevano saccheggiato la zona di Orano, da Nord, diffusa da mendicanti e girovaghi fiamminghi giunti a Trento, l'epidemia settentrionale fu più acuta e particolarmente dannosa per le città del Veneto, della Lombardia e dell'Emilia, meno duramente fu colpita la Toscana; Napoli riuscì ad evitare questa pestilenza isolandosi dal mondo), 1589 (peste d'Ivrea, si limitò ad alcune zone del Piemonte orientale e delle alpi che erano state risparmiate dalla peste del 1577), 1598 (peste francese, raggiunse l'Italia orientale, decimando la popolazione del Piemonte occidentale e della Liguria, risparmiate dalle pesti precedenti e transitò in alcune aree dell'Italia centrale).

Alcuni aspetti di queste pestilenze medioevali e rinascimentali, secentesche si differenziarono dalla normale eziologia della "Yersinia pestis" contemporanea perché chi si ammalava di peste, se era così fortunato da sopravvivere, sviluppava poi un'immunità totale, cosa che con la Yersina non funziona, poiché l'immunità è solo temporanea e limitata a pochi anni.

LA LEGALITA' DEGLI SCHIAVI nel XVI secolo

La bolla di Papa Paolo III del 2 giugno 1537 afferma e condanna tutti coloro che ridurranno in schiavitù gli indios o li spoglieranno dei loro beni, riconoscendo agli indiani, cristiani o no, la dignità di persona umana.

Il Papa mette così fine alle numerose dispute tra teologi e università, soprattutto spagnole, circa l'umanità degl'indios d'America e sulla possibilità di ridurli in schiavitù.

Gli Spagnoli e Portoghesi continuarono a servirsi degli schiavi sfidando la scomunica.

CORSARI PIRATI E BARBARESCHI

Come già detto, nonostante la bolla Papale lo vietasse, l’uso degli schiavi proseguì nel tempo e anche il Provana se ne servì perché allora come oggi, la manodopera era costosa, specialmente per quanto riguarda gli artigiani indispensabili per costruire fortezze, navi, armi e quanto potesse servire per la sicurezza e il prestigio nei confronti delle altre nazioni.

Sul mare, come sulla terraferma, bande di predoni più o meno organizzate, sono sempre esistite e gli individui che ne facevano parte, talvolta chiamati bucanieri, filibustieri, ecc., erano accomunati dallo stesso nome: pirati.

Assalivano in maniera indifferenziata le navi commerciali che solcavano il mare, razziandole del loro carico e prendendo prigionieri per la cui liberazione chiedevano poi consistenti somme di denaro. A volte questi predoni del mare compivano piccole scorrerie nell’entro-terra,devastando masserie e villaggi costieri privi di protezione.

Quando i pirati venivano catturati venivano impiccati e lasciati penzolare alla estremità di un pennone come salutare ammonimento per chi fosse stato tentato dall'intraprendere una simile attività.

Dall'inizio del XVI secolo in poi ci fu una evoluzione nel mondo della pirateria, anzi che agire da soli e senza un minimo appiglio “legalitario” i pirati cercarono ed ottennero la copertura di qualche sovrano o governo regolarmente costituito, mediante una lettera di marca, altrimenti chiamata lettera di corsa, che consentiva loro di arrembare navi mercantili di altri stati con cui era in atto una guerra o controversie territoriali o di altro genere. Ovviamente tale copertura era un vantaggio reciproco, per gli stati le casse dissanguate dalle spese militari e di corte, per i corsari il diritto di parte del bottino e dei riscatti ottenuti dalla vendita degli schiavi.

Di fatto i pirati erano “arruolati” nella marineria di quello stato e si trasformavano in corsari al suo servizio: potevano svolgere la stessa attività di prima, ricavandone un grosso profitto, ed evitando, teoricamente, lo sgraditissimo rischio di penzolare per qualche giorno da un pennone.

I corsari musulmani, appartenevano generalmente alle marinerie degli stati barbareschi dell'Africa mediterranea, principalmente Tunisi, Algeri e Tripoli (il Marocco, pur rientrando tra questi, differiva dagli altri in quanto costituito ad impero con proprie dinastie di regnanti). Per contrastare le incursioni dei corsari barbareschi i paesi europei dell'altra sponda del Mediterraneo dovettero dispiegare enormi energie. Queste furono profuse nella costruzione di imponenti reti di torri di avvistamento e fortezze sulle coste, perlustrazione dei mari e sorveglianza delle rotte e, a partire dalla fine del XVI secolo, nella costituzione di Ordini Cavallereschi, quali quello dei Cavalieri di Malta o di Santo Stefano, con il compito specifico di dar la caccia ai corsari.

Nella famosa battaglia di Lepanto gran parte delle navi della flotta turca di Mehmet Alì Pascià erano di corsari barbareschi come Ariadeno Barbarossa, Dragut e Sinam Pascià, che godevano della massima considerazione nei loro paesi e ad Instanbul dove erano ricolmati di onori e di ricchezze.

E' da sottolineare che i più valenti e feroci comandanti corsari erano generalmente cristiani rinnegati (come lo erano i giannizzeri sulla terraferma). Di questi molti erano stati rapiti da fanciulli, convertiti all'Islam e poi iniziati al mestiere della corsa.

NAVI La nave caratteristica dei navigli corsari era la galera ( o galea), essa era di forma snella, con un gran numero di rematori sui due fianchi e montava due alberi con vele latine.

Le dimensioni potevano arrivare ad una lunghezza di 50 metri per una larghezza di 7.

La galera era dotata di un castello di prua ed uno a poppa, il primo consisteva in una piattaforma dove si raccoglievano i picchieri per l'arrembaggio delle navi nemiche e per la difesa della propria, il secondo, coperto e più accogliente, ospitava il rais e gli ufficiali.

Sulla coperta erano sistemati i banchi per i rematori, da 20 a 30 per ogni lato; due o tre uomini provvedevano all’azionamento di ogni singolo remo.

Su ciascun bordo, al disopra dei rematori, vi era un lungo e stretto corridoio, detto balestriera, sul quale si disponevano i balestrieri e gli arcieri, sostituiti poi, con l'avvento della armi da fuoco, dagli archibugieri. Al centro della nave e sopra le due file di rematori vi era una corsia dove si muovevano i sorveglianti (alguazil ...aguzzini), che dovevano dare il tempo ai rematori e stimolarli alla voga a suon di frustate. A prua della galera un rostro metallico avrebbe consentito, come estrema risorsa, di sfondare il fasciame della nave nemica,la potenza di fuoco, alquanto limitata, proveniva da qualche pezzo di artiglieria prodiero di difficile manovrabilità.

Sottocoperta venivano stivate le vettovaglie e la scorta d'acqua necessarie all'equipaggio. Queste erano in quantità strettamente indispensabile ad una limitata autonomia, per non appesantire la nave e pregiudicare l’agilità e la facilità di manovra.

Gli uomini a bordo, rematori compresi, potevano variare da 100 a 200, a seconda delle dimensioni della galera, a cui si aggiungevano 100-200 soldati in occasione di scontri navali. La galera fu una nave molto impiegata in tutte le marinerie. Molto apprezzate erano la sua agilità e la manovrabilità anche in assenza di vento ed il basso profilo che la rendeva poco vulnerabile al fuoco nemico, di contro, la sua snellezza la rendeva poco adatta ad affrontare condizioni avverse di vento e di mare, per cui fu quasi sempre impiegata nel Mediterraneo per navigazione sotto costa e preferibilmente in buone condizioni di stagione.

Gli schiavi a bordo delle galere

Inizialmente i rematori delle galere erano uomini liberi, come il resto dell'equipaggio; ma ben presto per questioni economiche furono sostituiti da schiavi, prigionieri di guerra o prede di razzie, e da condannati, i quali, in navigazione, erano tenuti incatenati al banco di voga.

Sulle galere cristiane vi era però quasi sempre un gruppo di rematori liberi, volontari e perciò chiamati i bonavoglia non erano tenuti incatenati al remo, anzi di giorno godevano di una certa libertà e in porto potevano talora avere anche il permesso di scendere a terra, mentre i condannati avevano testa e viso completamente rasati; gli schiavi portavano in più, al sommo della testa, un caratteristico ciuffo di capelli.

La vita degli schiavi al remo era del tutto disumana. Coloro che osavano ribellarsi, venivano sommariamente seviziati, torturati e poi gettati in mare, quel banco a cui erano incatenati era tutto il loro mondo. Lì mangiavano, dormivano e defecavano. Il vitto era scarso ed orribile: veniva loro somministrato la sera così che non vedessero quello che mangiavano...leggenda...

Il fetore a bordo era insopportabile, si pensi a 100-200 persone in condizioni igieniche inimmaginabili costrette a vivere in pochi metri quadrati per settimane.

La fusta (o galeotta) era una galera di più piccole dimensioni,(max 30 metri) ad un solo albero con vela latina,ma più slanciata, veloce e con minor pescaggio.

Arrembaggi ed incursioni

La strategia generalmente adottata dai corsari per azioni sul mare consisteva nell'appostarsi in una insenatura o dietro un isolotto, ed attendere il transito di una nave commerciale. Quando ciò si verificava, con una azione fulminea, sfruttando l'agilità e manovrabilità delle loro imbarcazioni, veniva sbarrato il passo alla sfortunata nave-bersaglio che successivamente veniva arrembata. In tale operazione venivano generalmente utilizzate più imbarcazioni coordinate tra loro.

Quando ogni resistenza era vinta i corsari si impadronivano delle mercanzie e prendevano prigionieri gli uomini dell'equipaggio che venivano poi condotti nelle prigioni appositamente allestite in Barberia.

Spesso le incursioni dei corsari erano invece rivolte verso villaggi, paesi e talvolta piccole città costiere. I bersagli prescelti si trovavano generalmente in posizione isolata rispetto a centri fortemente presidiati, in condizione pertanto da non poter ricevere soccorso prima che l'azione dei corsari fosse già terminata.

L'attività dei corsari si traduceva in un profitto: ovviamente per loro stessi, per l'armatore e per quanti contribuivano al mantenimento delle navi e degli equipaggi, per le autorità e notabili del luogo, ma anche per l'intera popolazione che festeggiava sempre il ritorno delle navi corsare dalle loro scorrerie...

Accanto al forte introito derivante dalle merci predate, vi era quello non minore derivante dal riscatto e dal commercio degli schiavi. Questi venivano distinti a seconda che fossero personaggi di rango elevato o comunque facoltosi, o semplici villici o soldati. Per i primi vi era sempre un consistente riscatto, chiesto mediante contatti con i familiari, sollecitati dall'una o dall'altra parte, che restituiva loro la libertà; i secondi venivano invece normalmente utilizzati come manodopera gratuita a terra o come rematori sulle galere.

Meknes - Le "Prigioni dei cristiani"

Gli intermediari tra i familiari dei cristiani rapiti e le autorità locali degli stati berberi erano congregazioni religiose sorte appositamente a tale scopo o loschi faccendieri che lucravano indecentemente su tale attività.

Spesso veniva effettuato un vero e proprio commercio degli schiavi in mercati, nelle vicinanze dei bagni penali. Anche le donne erano destinate alla manovalanza per lo più nelle case dei notabili o personaggi facoltosi del luogo. A quelle più belle però toccava invece la sorte di dover soddisfare le voglie dei Raìs, mentre le più fortunate potevano aspirare a far parte degli harem dei Pascià, mentre i bambini venivano educati nella religione islamica alle arti della guerra e della corsa, e molto spesso da grandi rinfoltivano i ranghi di giannizzeri e corsari.

Non di meno tutto questo capitò anche dalle parti di Nizza, dove Andrea Provana era stato nominato governatore. (vedere foto Villefranche)

Vicino a Nizza vi è una magnifica rada, nota già ai Fenici, ai Greci ed ai Romani: Villafranca (attuale Villefranche-sur mer) ed è lì che i Savoia si adoperarono per far diventare quel luogo il porto militare. Il Provana quale uomo di fiducia del duca Emanuele Filiberto fu incaricato sin dal febbraio dei 1556 di edificare un arsenale militare atto a costruire e riparare le galere Sabaude con addirittura una fabbrica di cordami e vele, inoltre di adoperarsi per fortificare il porto (ancora adesso dagli abitanti di Villefranche è ricordato più come architetto che come militare. Allestì una piccola squadra di galee; utilizzerà come rematori in un primo momento, alcuni schiavi turchi, dei forzati inviatigli da Milano dal duca d'Alba, ed i condannati a morte cedutigli dal duca di Ferrara Ercole d'Este.

All’archivio storico di Torino abbiamo trovato copia di una dettagliata descrizione degli equipaggiamenti di cui erano fornite le galere del secolo XVI; in questo accurato elenco sono state censite: tutto il quantitativo di cordame e di vela, ogni ciotola, ogni scodella usate dal barbiere che allora era anche il “medico” di bordo!

Siamo inoltre riusciti a risalire a molti casi di manovre da corsaro come prima descitte fatte anche dal nostro illustre concittadino, uno dei più eclatanti fu fatto a spese della Serenissima:

Nell’ottobre 1560 si collega a Napoli con la squadra delle galee spagnole di Juan de Mendoza e quella genovese di Gian Andrea Doria. Ha il comando di due galee sabaude, la Capitana "Sole" e la "Margherita": la prima affidata a Giovanni Battaglino; il Provana e Giovanni Moretti sono a capo della seconda. Allorché comprende che la missione non ha alcuna prospettiva, attraversa con le due galee il golfo di Taranto, tocca Gallipoli, dove acquista una fregata, e navigando nelle acque veneziane, assale nei pressi di Cefalonia la "Mazzona", proveniente da Alessandria d’Egitto, carica di merci appartenenti a commercianti turchi e nelle acque di Zante, depreda un'imbarcazione candiota carica di lino, formaggi e sale appartenente a mercanti cittadini della Serenissima. A dicembre rientra a Messina e da qui fa ritorno a Villefranche carico di bottino.

L'ambasciatore veneziano in Piemonte, Andrea Boldù, chiede il risarcimento dei danni al duca di Savoia per la sua azione di pirateria. Il senato della Serenissima si accanisce in particolare con il Moretti, già autore in passato di azioni piratesche nei confronti di navi veneziane. Il duca di Savoia risarcisce i danni e promette di punire i colpevoli: il Provana viene riconfermato nel suo incarico con uno stipendio annuo di milleottocento scudi.....

Il Moretti è promosso "veedor" (vale a dire ispettore e controllore) della squadra sabauda con uno stipendio annuo di trecento scudi. Altro significativo aneddoto risale al giugno 1560:

Il Provana veleggia verso la rada di Villefranche con il duca; a bordo vi sono anche il marchese de la Chambre, il colonnello Guido Piovene ed il marchese di Chatillon. All’improvviso compaiono nove fuste barbaresche reduci da una scorreria sulle coste liguri, guidate dall’ammiraglio turco Uluch Ali, di origini calabresi. Il Leinÿ mette in salvo la galea sabauda; raccoglie in tutta fretta a Villefranche trecento fanti e venticinque archibugieri a cavallo, comandati dal Piovene ed attacca i corsari sbarcati presso Saint-Hospice. Gli archibugieri cadono in un'imboscata e, dopo un furioso combattimento, vengono in parte uccisi ed in parte fatti prigionieri, assieme al loro colonnello.

Anche i fanti sono sconfitti ed obbligati a ritirarsi, lasciando sul terreno venti uomini e quaranta prigionieri. Il fuoco dei cannoni di Villefranche, infine, costringe anche gli attaccanti a retrocedere.

I turchi richiedono un riscatto di cento scudi per ogni soldato catturato e di trecento per ogni ufficiale fatto parimenti prigioniero, per un totale di quattromilanovecento scudi. Uluch Ali pone come condizione per la liberazione dei prigionieri anche quella di poter incontrare in intimità la duchessa di Savoia, Margherita di Valois, moglie di Emanuele Filiberto, che però il Leinÿ fa sostituire con la prima dama di corte, Maria di Gondi.

La minaccia turca induce il duca a sviluppare la propria marina, di cui il Provana divenne "capo autorevolissimo".

Nel 1559 Andrea Provana di Leynì che già era impegnato in importanti opere di fortificazione a Villefranche intraprese anche la completa riorganizzazione della marina ducale. A quella data la piccola forza navale sabauda aveva già più di tre secoli di storia.

La prima grande impresa di Andrea Provana non fu quella di ricostruire le galere perdute ma di riorganizzare la forza navale dandole quella struttura tipica di una marina che le avrebbe permesso di attraversare tempi difficili mantenendo la propria completa identità.

Con struttura ed autonomia proprie la marina avrebbe fatto tesoro delle esperienze maturate collegandole in quella che sarebbe divenuta una tradizione navale: era ormai tempo di uscire dalla prassi medioevale del “radunare una flotta” e affrontare, magari anche con lusinghieri successi, eventi contingenti.

Si rivelava necessaria una presenza in mare continuativa sia per la essenziale azione di contrasto della pirateria che lo sviluppo delle attività marittime esigevano, sia per rendere evidente l’interesse dello stato alla politica mediterranea: questo venne realizzato attraverso una serie di operazioni combinate con le principali flotte alleate, con un supporto militare ad azioni diplomatiche e mantenendo una frequentazione di quei porti dove interessi commerciali e strategici richiedevano una visibilità della presenza sabauda sul mare.

Le prime galere costruite a Nizza furono caratterizzate da timone centrale, con un rematore per remo riuniti in gruppi un albero con vela latina e l’armamento costituito da tre pezzi di artiglieria in posizione prodiera. La struttura dello scafo non presentava ancora l’insellatura che iniziò a comparire verso la seconda metà del XVI secolo per migliorare le qualità nautiche delle galere.

La voga a scaloccio dove più rematori di uno stesso banco lavorano sul medesimo remo, venne sperimentata a Venezia per la prima volta nel 1534 e si diffuse con grande rapidità in tutti i paesi. Questo tipo di voga garantiva una maggiore efficacia propulsiva e consentiva la costruzione di unità di dimensioni maggiori che spesso adottarono un’attrezzatura a due alberi con il trinchetto lievemente disassato sulla sinistra.

La Capitana di Savoia che combattè a Lepanto risulta in servizio dal 1560: si trattava di una grossa galera, bastarda secondo la classificazione dell’epoca, quindi dotata di almeno cinque rematori per ogni remo su un medesimo banco, per un numero stimato intorno ai 50 remi. I due alberi erano attrezzati con vele latine di tipo genovese e l’armamento era limitato a tre pezzi di artiglieria, il corsiero e due petrieri, rispetto ai cinque delle capitane di altri paesi che presentavano dimensioni superiori. La Piemontesa e la Margarita erano galere di dimensioni minori anche se non ancora classificabili come galere sottili: dotate entrambe di quattro rematori per banco e 40 remi avevano un singolo albero attrezzato con vela latina di tipo genovese, e secondo un criterio costruttivo ormai diffuso mantenevano il piccolo cassero prodiero.

Nel 1558 alcune galere turche al comando del pascià Cassim e altre francesi al comando di Francesco di Lorena Priore di Malta stavano minacciando il porto di Villefranche. Andrea Provana, dispose le sue truppe a difesa del porto e tese ai nemici appena sbarcati un agguato. Dopo un sanguinoso scontro a terra i Turchi si allontanarono. Con questa prima vittoria il Provana diede il via alla ristrutturazione dell’arsenale e accelerò il piano di allestimento della flotta diventandone comandante in capo, ovvero Capitano Generale delle Galere. “Hacciò sappia governar con reputatione il nostro stendardo et possa star saldo nel combatter et intrepido nella fortezza” si legge nel decreto di nomina.

Fin dal 1560 Andrea Provana aveva fatto armare le prime galere. La “Capitana” era la nave ammiraglia. Vi erano poi la “Margherita” in omaggio alla duchessa di Savoia, la “Piemontesa” che venne successivamente ceduta per saldare il debito di 9000 scudi con il banchiere genovese Spinola, la “Moretta” dal nome del corsaro nizzardo Giovanni Moretto, passato al soldo del duca di Savoia e comandante in seconda della flotta sabauda. Molti capitani delle galere provenivano dalla contea di Nizza come Marcantonio Galléan, o dal genovesato come Girolamo Spinola.

Eterogenei erano invece gli equipaggi formati da schiavi turchi o barbareschi prigionieri e da forzati o galeotti per reati comuni provenienti non solo dal Piemonte e condannati al remo. Pochi i marinai che si arruolavano spontaneamente per la vita grama che conducevano gli equipaggi a quel tempo.

BATTAGLIA DI LEPANTO

L’unico Papa piemontese che la Chiesa allora abbia mai avuto, Pio V. Antonio Michele Ghislieri, frate domenicano, nato a Bosco Marengo nell’alessandrino nel 1504, salito al pontificato nel 1566 col nome di Pio V, dopo essere già stato Vescovo di Mondovì, aveva cercato invano di formare una “lega” fra le potenze occidentali per dare una sonora sconfitta agli ottomani, ma per le rivalità tra Spagna e Venezia, tutto questo era sempre stato vanificato. Dopo una serie di tentativi....., Pio V (che nel 1712 verrà proclamato santo) riesce a mettere d’accordo: Spagna,Venezia, Genova, Lucca, Firenze, Urbino, Ferrara, Parma, Mantova, Sicilia, Malta ed il ducato di Savoia, oltre naturalmente lo Stato Pontificio. Il 20 maggio 1571 la Lega Cristiana o Lega Santa è formata con la firma a Roma tra i rappresentanti delle potenze alleate. Il Comando Supremo della spedizione, anziché ad Emanuele Filiberto duca di Savoia, come lui stesso sperava, viene affidato invece a Don Giovanni d’Austria, figlio naturale dell’imperatore Carlo V di Spagna.

Andrea Provana di Leinì, con tre galee: “Capitana”, “Margherita” e “Piemontesa” parte per Messina, luogo d’adunata per le spedizioni in Oriente. A settembre, il corpo di spedizione è definivamente formato ed ha luogo la storica partenza. Il 7 ottobre 1571, una domenica mattina, la poderosa flotta cristiana nelle acque di Lepanto, in formazione di battaglia, si scontra con la non meno poderosa flotta turca.

Andrea Provana di Leinì, a bordo della “Capitana”, alle prese con due galee turche che l’hanno stretto come in una morsa, si batte con furore facendo scempio dei suoi nemici, e benchè colpito alla testa da un colpo d’arma da fuoco, non demorde, si riprende riuscendo ad annientare i suoi avversari ed a catturare persino le due galee nemiche.

La “Piemontesa” è quella che pagò il prezzo più amaro della vittoria con un sanguinoso olocausto. Attorniata da un nugolo di galee turche, consapevole della fine imminente, risolse di vender cara la vita combattendo ad oltranza, rifiutando la resa. Caddero ad uno ad uno, tra atti di indicibile eroismo, il capitano Moretto, Francesco di Savoia-Racconigi, Chiaberto dei Piossasco di Scalenghe, Cesare Provana di Leinì, e molti altri di cui non conosciamo i nomi.

Di tutto l’equipaggio di circa 200 persone, ne sopravvissero soltanto 12, compresi i rematori, seppur gravemente feriti. La vittoria a Lepanto fu comunque piena ed assoluta. Gli ottomani ebbero 107 navi affondate od arse, 130 catturate e circa 40.000 fra morti e prigionieri.

Due giorni dopo l’epica e storica vittoria, che vide Andrea Provana di Leinì tra i principali protagonisti, egli , dal Porto di Petalà, mandò ad Emanuele Filiberto duca di Savoia una relazione, che rimane uno dei più interessanti resoconti storici di prima mano, sull’intero svolgimento della battaglia di Lepanto.

Relazione di Andrea Provana al duca Emanuele Filiberto circa la Battaglia di Lepanto.

Resa pubblica nel 1928 all’esposizione di Torino in occasione dei festeggiamenti per il 10° anniversario della vittorio della grande guerra unitamente esposta con il troncone centrale del 1^ sommergibile A. Provana attualmente sito nella sede dei marinai d’Italia nei pressi di ponte Isabella

Serenissimo signor mio et Patrono osservandissimo

Scrissi a Vostra Altezza dalla Cefalonia, che la determinazione nostra era di venir a presentar la battaglia alli Turchi, i quali con la loro armata si trovavano nel golfo di Lepanto, et cossì la sira delli sei si partimo dalla detta Cefalonia, et havendo caminata tutta la notte a remi, con il ciel sereno, et il mar bonaccia, si trovamo la matina seguente giorno di domenica, nel fare del giorno vicino ad una isola che hora si chiama Athocos, anticamente si diceva Ythaca patria del famoso Ulisse; et caminando tutta via più avanti arrivassimo ad un 'altra isoletta detta Quzolari, la quale quasi resta attaccata ad una ponta che fa ivi la terra ferma di Atolia, di d'onde si scuopre poi a mano dritta tutta la terra ferma della Acaya, già dominata dalli predecessori di Vostra Altezza, et distante da questa isoletta da uinticinque miglia, et dalla sinistra resta la costa di terra ferma della Atolia, le quali coste vanno ristringendosi quasi a forma di triangulo, sino tanto che fanno la bocca di! detto Golfo di Lepanto, distinate parimente di questa isoletta da uinticinque miglia incirca. ........

Hora se ben le cose in questo istante si mostrarono molto diverse da quello che si era presuposto, Sua Altezza generosamente si risolse di combattere: et cossi dato il segno della battaglia, ordinò che ogni galera andasse al suo luogo deputato, et si formasse la battaglia, nel modo che già mandai a vostra Altezza........

Il signor Giovanni Andrea d'Oria con il corno destro si tirò al mare verso l'Acaia, il provveditore Barbarigo, col corno sinistro restò costeggiando la costa della Atolia, et Sua Altezza con la battaglia si pose in mezzo.

Le sei galeazze avanti a tiro di cannone et il marchese di Santa Croce, con trenta galere di soccorso, mezzo miglio indietro al suo fuoco, et con questo ordine caminando, andassimo ad incontrare li nimici............... la Reale de' Turchi la quale si era incontrata con la Real nostra, fu rimessa assai presto et tagliata la testa al Bassà et portata a Sua Altezza, pigliati dui suoi figliuolini vivi.

Nui con la capitana di Vostra Altezza investissimo per pora la terza galera appresso alla Reale de' Turchi e poi un 'altra galera delle loro, che venne ad investire al luoco del schiffo, a tal che pr un pezzo ne bisognò combatter contra due non senza danno, et perdita di molti uomini da bene, e fra gli altri a me toccò un 'archibugiata in mezzo alla testa; et se bene havevo il morione forte, la botta fu però tanto grande, che mi fece gran ferita et mi gittò a terra tramortito, che per spazio di mezza hora non li vedevo niente nè sapevo ove mi fossi; però essendo rehavuto et attendendo a riordinar le cose, gionse la banda dil marchese Santa Croce, et hebbimo una delle sue galere fresca in soccorso, et subito rimessimo dal tutto le due galere che combattevano con noi, et al medemo tempo mi pare che il simile fosse fatto in tutto il resto della battaglia, salvo alla parte dritta ove era posta la capitana de Malta, la quale, come da quella parte era ultima della battaglia, fu assalita da più vascelli per proa et dalle due bande, a tal che per quanto ho inteso qua in letto, non è rimasto nè di ciurme nè di buomini da cavo vivo alcuno in quella galera, salvo il prior di Messina capitano di essa et alcuni, ma ben pochi. Il medemo è avvenuto alla nostra Piemontesa, la quale si trovava per ordine di Sua Altezza nella squadra di! signor Gioanni Andrea, et alla banda sinistra del como destro, oue al mio parer cargò il maggior loro squadrone, et fu investita da tre galere una per proa et doe dalle bande, in modo tale che nonostante che habbino combattuto tutti, tanto li huomini da cavo quanto la ciurma, molto virilmente et diffesisi per più di un 'hora, alfine non havendo soccorso alcuno li saltorono dentro, et hanno menato tutto a fil di spada, in modo che non sono rimasti vivi in detta galera tra di ciurma tra huomini da cavo, salvo dodeci persone, fra i quali il signor don Francisco di Savoia, ferito malamente nel volto; sono morti il capitano Ottaviano, il sig. Chiaverto di Scalenghe, il signor Cesare di Leiny, il cavaliere di San Vitale, tutti li huomini dil signor don Francisco, tutti li ufficiali di galera salvo Patron Marino, et insomma tutti li migliori, et tal che possiamo dire, che questa vittoria sia stata ben sanguinosa ed infelice per noi, et specialmente per detta galera, non ostanto che nel resto di quel corno la vittoria sia stata con manco danno.

Nel corno sinistra dil Barbarigo si è combattuto quasi a egual partito, cioè di numero et qualità di vascelli, et vi è stato qualche danno da quella parte, massime essendo stato ferito a morte il detto Barbarigo, quale dappoi scrivendo questo è morto, insieme con parecchi altri cappitani uenetiani: però non ostante questo li nimici anco di quella parte furono rimessi interamente a tal che la vittoria è stata universale, et maggiore di quello che forsi non saprei dire: li particolari della quale si intederanno meglio, et io ne darò aviso a Vostra altezza non potendolo per adesso, perché non mi muovo di letto per causa di questa mia ferita, la quale mi tiene la testa tutta intronata, con un poco di febre, benché spero in Dio di restarne presto libero, secondo che questi medici mi danno ad intendere. La galera che bauemo tolto è una bastarda grossa molto pesante, et anche mostra haver qualche anni: però io vedrò di cambiarla con una sottile et nova quando ben dovessi rifarli qualche centenara di scuti per rinovare la Margarita, la quale non può più; il che sia per aviso a Vostra Altezza acciocché non entri per adesso in maggior spesa della galera nova: et perché avemo tolto circa a cento Turchi vivi, fra i quali alcuni feriti, farò ogni sforzo di riarmare la Piemontesa per ricondurla a casa al meglio che potrò, et per "modum prouisionis" li metterò sopra il cappitano Gioanni Battista Cadato, sino a tanto che da Vostra Altezza sarò ordinato quello sia di suo buon piacere. ............Altezza parendoli potrà far intendere al signor Imbasciatore per sua consolatione, che sarà il fin della presente, baciando bumilmente la mano di Vostra Altezza et pregherò Nostro Signore per sua felicitade et contentezza.

Di galera al Porto di Petala, li 9 ottobre 15 71 Di Vostra Altezza humil vassallo et fedelissimo servitore sottoscritto Andrea di Leiny

A Petalà, le discussioni fra gli alleati vincitori si fanno serrate, chi vorrebbe filare su Costantinopoli, chi liberare almeno Corfù causa della guerra; alla fine viste le condizioni del naviglio, delle truppe e la stagione autunnale inoltrata si decide per il rimpatrio.

Divise fra loro le prede, tra tutte le galee catturate, al Provana tocca solo una bastardella con 100 schiavi turchi. Il veneziano Venier visto l'esiguo bottino concesso al Provana gli concede un'altra galea con 50 schiavi; Il Principe d'Urbino che ha combattuto a fianco del Provana per parte sua riceve 25 schiavi.

Da Petalà il Provana raggiunge i pressi di Corfù da dove attraverso una lette- ra che manda al duca di Savoia ci fa sapere che: "dappoi che scrissi a Vostra Altezza, la mia ferita mi peggiorò assai et mi sopragiunse la febre che mi ridusse a mali termini et fu tal volta ben vicino a far vela (morire) però Dio gratia, di cinque giorni in qua comincio a star meglio tanto della ferita quanto della febre, alta che spero in Dio di poter ancora per un pezzo servire a Vostra Altezza".

A Corfù il Provana cambia la bastardella turca con una gale a nuova, e dà fuoco alla "Margherita" che era decrepita e malandata, quindi con quella bella "faccia di tolla" di Giovanni Andrea Doria, lo Spinola e Mare' Antonio Colonna raggiungono tutti insieme Messina.

Poco dopo Andrea Provana e la sua compagnia ripartono per Napoli, dove il nostro eroe riceve gli elogi dall' ambasciatore veneziano Alvise Bonrizzo, e poi riparte per Civitavecchia.

Qui, fra caldi e fraterni abbracci, saluta e lascia il Principe romano Mare' Antonio Colonna, quindi raggiunge Genova e da lì finalmente verso la fine di novembre è a Nizza.

Il 10 dicembre 1571, di sera, Andrea Provana entra trionfalmente a Torino, ricevuto a braccia aperte dal duca Emanuele Filiberto.

Della parte gloriosa del Provana nella grande battaglia, oltre che dagli storici piemontesi è ricordato anche dallo storico veneziano Giovanni Battista Rasarro, nel suo" De victoria Christianorum ad- Ecbimadas" del 1571 con queste parole in un non troppo difficile latino:

"Erat Lignus (Andrea Provana di Leinì) vir summa nobilitate et bellica virtute praestans, quem cum suis triremibus ad Christianam religionem defendendam et ut nobis gratum faceret, miserat summa animi alacritate propensaque voluntate Emanuel Philibertus, Sabaudiae dux illustrissimus".

In una relazione spagnola si ricorda che: "La Capitana de Saboya con gran esfuerzo bizo lo mismo à la que le cupo, y desta batalla saliò herido Mosior de Leyni (Andrea Provana) general de las galeras de Saboya",

Fra le molte opere poetiche italiane composte in occasione della vittoria di Lepanto, tranne qualche opera minore, del Provana si dice quasi niente, infatti tutte inneggiano a Don Giovanni d'Austria ed al romano Mare' Antonio Colonna, rispettivamente Comandante e vice Comandante della spedizione: nessuna mette in risalto l'opera del Provana.

L'unico che ricorda il nostro ammiraglio è un poema spagnolo scritto dal portoghese Girolamo Corte Real.

Il titolo di quest'opera è: "Felicissima victoria concedida dal cielo al senor don Juan de Austria en el golfo de Lepanto de la poderosa armada Othomana".

Il poema è diviso in 15 canti in endecasillabi sciolti, nel 7° canto egli fa presente l'invio delle galee del ducato di Savoia:

"Emanuele Philiberto ... èmbia tres galeras bien armadas y de fuertes soldados bien proueidas Monsenor de Lenì (A. Prooana) varon illustre por capitan supremo dellas viene ... "

Nel canto 12° descrive la disposizione dell' armata ricordando che dopo la nave ammiraglia pontificia veniva quella di Andrea Provana, e ricorda inoltre le altre due galee, la "Piemontesa" e la "Margherita".

".. tambien la Capitana de Saboya Monsenor de Lenì (A. Prooana) la governava iva la Piemontesa de Saboya muy guerriera, y de nueuo apercepida con Octavio Morèto, va con ella del mesmo Emanuel la Margherita".

In seguito viene rimarcato il valore del Provana e delle ferite riportate nella battaglia………………………………..

Scriveva lo storico Arturo Segre nel secolo scorso: "l Piemontesi debbono un po' di riconoscenza a questo poeta portoghese che non dimenticò il sangue da essi sparso, ed Andrea Provana di Leinì, che fu il solo ammiraglio insigne della loro marina".

I veneziani, unici tra tanta ingratitudine non dimenticarono l'apporto dei piemontesi e del Provana.

Il Tintoretto, in un suo celebre quadro perduto in incendio del 1577 aveva raffigurato la battaglia di Lepanto, mettendo nel massimo risalto la "Capitana" del Provana con lo stemma ducale.

Sebastiano Venier, un altro insigne combattente a Lepanto, quando nel 1577 assunse la carica di Doge di Venezia, parlando con l'ambasciatore piemontese Bernardo Rovero a Venezia, volle ricordare con entusiasmo i tempi in cui aveva conosciuto il prode Andrea Provana, ed il Provana stesso non mancò poi di mandare al suo illustre amico e compagno d'armi le sue più vive congratulazioni per l'alta carica raggiunta.

Lettera di ringraziamento del Doge di Venezia ALOISIO MOCENIGO del 22 ottobre 1571per la valorosa e determinante partecipazione di ANDREA PROVANA alla battaglia di LEPANTO.

Dei gratia dux Venetiarum…

Illustri domino de Leyni generali triremium illustri domino ducis Sabaudiae salutem, et dilectionis affectum.

Poichè e piacciuto al Signor Dio di conceder alla Christianità una così gran vittoria contra li Turco, comune inimico, a noi è stato sommamente caro, che si sia ritrovata in tale impresa la persona di Vostra Signoria con le galee del illustrissimo signor duca di Savoja, e con molta consolazione habbiam inteso con quanto valore ella si sia dimostrata ardente nel combatter per il beneficio universale per lo qual rispetto abbiamo voluto farle queste poche righe per rallegrarsene con lei, e per renderla certa, che, siccome abbiamo molto ben conosciuta sempre l’ottima volontà dell’illustr. signor duca sopradetto verso la repubblica nostra, così in questa occasione ne è stata a pieno confermata con il mezzo di Vostra Signoria, alla quale attribuiamo quelle laudi, che si convengono al molto valor suo, et le desideriamo ogni prospero avvenimento.

Datum in nostro ducali palatio dle XXII octobris ind. xv. MDLXXI.

D'ora in poi Andrea di Leini non sarà più "quello di Baupame" in ricordo delle sue straordinarie imprese giovanili nella guerra delle Fiandre, ma per tutti ormai diverrà "quello di Lepanto" , il maturo indiscusso protagonista di una delle più fulgide pagine della storia mondiale.

Dopo il 1571 altri importanti compiti lo attendono, sia in diplomazia che in varie guerre, e vedremo come sempre saprà acquistare .fama universale, per lui, per il ducato di Savoia e per il Piemonte, che onorevolmente saprà sempre rappresentare nel contesto europeo.

Appena nominato Grande Ammiraglio della flotta Sabauda e dell’Ordine Mauriziano (1573) da cui dipendeva la Marina, Andrea Provana fu nuovamente mandato in caccia dei pirati barbareschi lungo le coste della Toscana e della Corsica. Li raggiunse ad Antibes.

Fu questa, dopo la battaglia di Lepanto del 1571 e il rientro glorioso della flotta sabauda nel porto di Villefranche, la prima importante impresa della marina sotto Carlo Emanuele.

Nel 1578 Fece portare a Torino la Santa Sindone sia per proteggerla dai calvinisti che avevano giurato di distruggerla sia per agevolare il cardinale Carlo Borromeo che, durante la peste aveva fatto voto di andare a venerare, a piedi, in pellegrinaggio il sacro lenzuolo.

(Filiberto Pingone, La Santa Sindone, Augusta Taurinorum, (1577)

Muore a Nizza (1583) la moglie Caterina Spinola, che verrà sepolta a Villefranche.

Il Consiglio del Comune di Torino in presenza del magnifico sig. Cesare Nomis, giudice della città et pertenenze per Sua Altezza volle riconoscere la grandezza di Andrea Provana e lo inserì nel 1583 nel numero degli originarii cittadini di Torino con tutti gli onori, le franchigie e i privilegi in uso....... Dat in Turino nel detto Conseglio tenuto alli tredici del mese di decembre MDLXXXIII.

Sempre in nome della religione il duca di Savoia inviò dapprima Andrea Provana come ambasciatore in Spagna per perorare l’appoggio spagnolo alla causa della conquista della Provenza e relativa annessione, ma nel 1591 si scontrò con i francesi dando l’avvio ad una guerra che si rivelerà lunga e disastrosa e terminerà con il trattato di Bruzolo del 1610.

Di ritorno da Antibes dove era stato mandato per un’ultima e delicata missione, il 19 maggio 1592 Andrea Provana di Leiny morì al servizio come sempre, con “grande iudicio, sagacità ed esperienza”, della dinastia dei duchi di Savoia.

Il regno di Carlo Emanuele I durerà ancora per altri trentotto anni.